A.A.A. CERCASI Parità di genere nel lavoro: un bilancio poco “roseo” dopo un anno di Covid
- Accorciamo le distanze

- 21 apr 2021
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Il 2020 ha portato 444.000 italiani alla perdita del posto di lavoro, di cui il 70% sono donne. L’effetto Covid-19 però richiama una disparità più profonda nel mondo lavorativo.
Il bilancio occupazionale italiano del 2020 è, come ci si poteva immaginare, drammaticamente negativo. Nell’anno del Covid 444.000 italiani si sono ritrovati senza un posto di lavoro. Sono stati dodici mesi volti al sacrificio della maggior parte dei settori lavorativi, per poter tutelare la salute della nazione. Tale risultato dunque era tristemente prevedibile, ma ciò che impressiona sono i dati relativi alla percentuale femminile: 7 persone su 10 che hanno perso il posto di lavoro quest’anno sono donne.
Le ragioni principali di questa percentuale sono il frutto di una disparità più ampia e radicata nel mondo del lavoro. Le donne sono maggiormente occupate nei settori più danneggiati dalla pandemia, ovvero quelli dei servizi e del rapporto con il pubblico. Inoltre, mediamente sono loro che hanno i contratti meno vantaggiosi. La maggior parte delle donne è infatti assunta a tempo determinato e a part-time. Per di più è bassa la presenza femminile nei ruoli apicali d’azienda, ovvero quelli considerati stabili e sicuri.
Tutte queste disparità accumulate in secoli di attività lavorativa hanno portato al drastico bilancio sopracitato. Un ulteriore ruolo negativo è stato giocato dalla modalità smart-working. La donna viene reputata, ancora oggi, la sola curatrice della casa e in una situazione di lavoro in remoto quest’ultimo ruolo si è amplificato e sovrapposto a quello lavorativo.
Il Covid-19 ha contribuito ancora una volta ad allargare il gap di genere nel mondo del lavoro. Ha anche permesso di mettere ancora più in luce le problematiche vigenti per quanto riguarda l’occupazione femminile.
Tra le principali fonti di gap di genere troviamo sicuramente il divario salariale. In Italia la differenza tra le buste paga dei due sessi è del 23.7%. Ovvero, una donna che occupa lo stesso ruolo di un uomo, con le medesime competenze, guadagna mediamente il 23.7% in meno. Tale divario, ovviamente, cambia se si considerano diversi titoli di studio o diversi settori quali il privato o il pubblico, ma comunque questa realtà rimane presente a livello generale nel settore lavorativo.
Un ulteriore gap significativo è la presenza in ruoli apicali d’azienda. In Italia mediamente le donne a ricoprire il ruolo di amministratore delegato sono meno del 10% in ogni settore d’attività. Questa percentuale si alza fino al 20% per quanto riguarda le donne a ruolo presidenziale, e abbiamo un buon risultato del 50% per quanto riguarda la presenza femminile nei Consigli di Amministrazione (CdA). Tale miglioramento lo si è ottenuto solo a fronte dell’introduzione della Legge Golfo-Mosca nel 2011, legge che obbliga a inserire figure femminili nel proprio CdA per almeno un terzo.
I motivi di questa disparità sono di natura patriarcale. Anzitutto vige il nepotismo nei ruoli apicali d’azienda: attraverso un network di raccomandazioni si tende a mettere solo figli (maschi) di persone importanti a dirigere un’impresa. Inoltre sono ancora ben radicati i pregiudizi e gli stereotipi che vedono le donne come incapaci a ricoprire tali ruoli e a guidare un’attività.
Nonostante vi siano stati numerosi studi sull’alta competenza femminile nelle suddette cariche, sulle capacità femminili dirigenziali e manageriali e sul valore aggiunto di una leadership al femminile, stereotipi e pregiudizi sono ancora difficili da estirpare.
Le donne che ricoprono ruoli importanti sono solitamente soggette a più stress e giudizi rispetto ai loro colleghi uomini. Le manager dichiarano che una volta ottenuto un ruolo apicale, nella maggior parte dei casi, mantenere la propria posizione richiede maggiori competenze e minore flessibilità rispetto alla propria controparte maschile, non contando l’esposizione superiore a giudizi (spesso anche in termini di abbigliamento) da parte del personale aziendale, dei propri colleghi e dei sottoposti.
Come accennato prima, un ulteriore gap lo si trova a livello di contratti lavorativi. La maggior parte delle donne ha un contratto svantaggioso e precario. La motivazione a fronte di questa disuguaglianza è la possibilità per una donna di rimanere incinta e così abbandonare, anche solo momentaneamente, la propria posizione lavorativa per maternità. Queste dinamiche sono all’ordine del giorno, tanto che le donne sono le uniche alle quali, in sede di colloquio d’impiego, vengono poste domande scomode e non professionali quali: “è fidanzata?” “ha intenzione di avere figli?” “ha figli?”.
La disparità nel mondo del lavoro parte dalla prima fase di selezione e si protrae in ogni successivo stage, dalla stipulazione del contratto alle promozioni. Il 2020 ci ha permesso di vedere con ancora maggiore chiarezza quanto questo divario sia profondo, ma ha anche contribuito a peggiorare tale disparità. È necessario prendere provvedimenti, creare più leggi volte a ridurre questo gap e bisogna combattere, ancora, per l’uguaglianza a livello di diritti tra i due sessi.
Autore: Elisa Caravaggi


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