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A qualcuno piace pulp


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Tra riviste, cinema e icone femministe


La parola pulp ci rimanda subito con la mente ai film di Quentin Tarantino, ormai entrati a far parte della cultura generale degli anni 2000. Ma pulp non è solo questo, o meglio: ciò che oggi pensiamo sia pulp, soprattutto nell’ambito della cinematografia, è la trasposizione cinematografica di un genere letterario nato negli anni ‘20.


L’origine affonda proprio nelle pulp magazines, riviste molto economiche con copertine accattivanti e dai colori accesi, ma di pessima qualità rispetto ai materiali di stampa. Le storie raccontate in queste riviste hanno sempre un elemento in comune: scene forti, situazioni macabre, tanta violenza e una bella spolverata di oggettivizzazione del corpo femminile.


Con il passare degli anni, a partire da queste riviste, si sviluppa un vero e proprio genere letterario che ne riprende l’elemento macabro e violento, spalmandolo in romanzi a episodi (senza ovviamente dimenticare le donne mezze nude in copertina). Gli autori, almeno all’inizio, non erano degli Hemingway in erba, e venivano pagati in rapporto al numero di parole scritte (e infatti i vari episodi contenevano discorsi lunghi e ridondanti con una quantità spropositata di aggettivi o avverbi che portano a chiedersi se non si sta leggendo la sceneggiatura di una soap opera).


Dagli anni ‘90, il pulp diventa accessibile a tutti, grazie proprio al lavoro di registi come Tarantino e Rodriguez (il regista di Sin city, per quelli che vivono in un mondo fatato), i quali riescono a portare il genere nelle sale cinematografiche, consacrandolo come genere amato dalle masse. Il cinema riesce così a portare sul grande schermo i tratti distintivi del pulp in maniera ancora più impattante della parola scritta: sangue, violenza, splatter e un velo di trash, accompagnato da una retorica eccessiva e volgare, con dialoghi lunghi e eccentrici. Una scena in cui un gruppo di criminali discute se il testo di Like a Virgin sia una metafora della fava grossa, o ancora due gangster che dialogano su un possibile miracolo sullo sfondo di una rapina al bar: sono tutte scene paradossali, contrastanti, violente negli atti ma soavi con le parole (anche se con qualche fuck di troppo). La pellicola diventa un’opera di apparente scarsa qualità e con elementi non gradevoli a primo acchito, ma nonostante ciò, ci piace. Siamo affascinati dal brutto, dal decadente e dall’oscurità, basti pensare al barocco o ai poeti maledetti.


Per concludere, è arrivato il momento in cui faccio la parte del bravo ragazzo bianco indignato: l’unico vero difetto del genere è la costante oggettivizzazione del corpo femminile. La donna è presente nei pulp tendenzialmente con il solo ruolo da femme fatale, da pupa, da bambola (e altri nomignoli che fanno molto film anni ‘90). Per carità, siamo tutti fan di un corpo femminile, meglio se nudo, ma qui il ruolo della donna è analogo a quello della bambola gonfiabile del mio diciottesimo compleanno. Quindi è ovvio che serva un’innovazione del genere, un’evoluzione, cercando di rendere la figura femminile meno nuda, più indipendente e più altre cose che non posso capire del tutto, essendo un maschio, bianco e altre etichette che volete affibbiarmi (giuro ci sto provando a essere un uomo migliore). E quindi dato che sia io che Er Timido apparteniamo ad una categoria privilegiata (e meno male) abbiamo cercato di correggere il tiro, cercando di elevare il personaggio femminile a una condizione più dignitosa.


Un film che è riuscito ad anticipare i tempi è il cult di Russ Meyer Faster Pussycat, Kill! kill!, in cui vediamo come protagonista l’iconica Tura Satana nei panni di Varla. La pellicola infatti, nonostante sia del 1965, si dimostra un grande passo avanti dal punto di vista femminista: Varla non è si limita ad essere sensuale, ma è alta e forte, capace di eccellere nel combattimento e nella guida. Il film però si rivela un flop, anche se poi verrà rivalutato proprio come avanguardia cinematografica del femminismo, rendendo Tura Satana una figura di riferimento, amata da registi come John Waters o il già citato Tarantino (Bellatrix di Kill bill si ispira proprio all’attrice).



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Autore: Alessandro Mastrosanti

Illustrazione a cura di: Er Timido


 
 
 

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