Armine Harutyunyan e il fenomeno del bodyshaming
- Accorciamo le distanze

- 9 set 2020
- Tempo di lettura: 4 min

Partendo dalla modella Armine Harutyunyan fino alla ragazza della porta accanto; siamo tutti possibili vittime del meccanismo del bodyshaming.
Nelle ultime settimane troviamo sotto il riflettore social delle critiche la modella Armine Harutyunyan.
La ragazza è una giovane 23enne di origini armene, che nella vita non si sarebbe mai immaginata di intraprendere questa tipologia di carriera, non essendo né una sua aspirazione né un suo sogno nel cassetto. Armine aveva in mente tutt’altro percorso: possiede già una laurea in graphic design e voleva diventare una grafica, inseguendo lo spirito artistico del nonno, noto pittore armeno.
Il suo futuro già programmato subisce invece un violento cambio di direzione quando, a un concerto della sua band preferita a Berlino, un talent scout la nota. Dopo solo un mese dallo scambio dei contatti, Armine riceve la notizia dell’assunzione da parte del marchio Gucci e l’invito a sfilare di lì a poco alla Settimana della Moda di Milano.
Ciò che ha portato alla valanga di insulti che si riversano, nelle ultime settimane, sui social della giovane modella, è la comparsa del suo nome nella classifica delle “100 donne più sexy del mondo”, stilata dal direttore creativo di Gucci Alessandro Michele.La modella però ha chiarito di essere vittima di commenti offensivi sul suo aspetto fin dalla sua prima sfilata, il tutto a causa dei lineamenti poco regolari del suo volto, che ben poco possono rientrare nei canoni odierni di bellezza e armonia occidentale.
Molti credono che la scelta del brand sia studiata al fine di avvicinare quanto più possibile alla bellezza reale le proprie modelle, selezionando ragazze che si avvicinano il più possibile alle donne reali: uniche, particolari e belle nel loro genere. Donne insomma che non rientrano perfettamente all’interno della categoria di bellezza spesso utilizzata e ostentata da alcuni marchi, i quali propongono standard pressoché irraggiungibili e irreali.
In realtà da anni il marchio Gucci ha dichiarato di chiamare in selezione donne e uomini che sappiano inserirsi all’interno della “scenografia della sfilata”. La scelta ricade perciò su un piano teatrale: la sfilata è uno spettacolo, i modelli sono degli attori; ciò che conta non è la loro perfezione fisica e visiva ma le sensazioni che riescono a trasmettere.
Dall’altro lato è altrettanto vero che il mondo della moda si sta rivoluzionando e che questo trend di avvicinamento alla realtà stia venendo implementato da sempre più brand negli ultimi anni. Tali iniziative sono ben supportate da chi comprende e apprezza il messaggio che le nuove case di moda cercano di mandare. Bisogna però chiarire che a queste persone si affiancano ancora i classicisti, che non ritengono alla portata di tutti il ruolo del modello.
Il problema sorge quando quest’ultimi, che non accettano il cambio di direzione intrapreso dai nuovi marchi, riversano il loro disappunto sulle pagine personali dei modelli in questione.
Il meccanismo del bodyshaming viene spesso registrato all’interno delle piattaforme social sui profili di personaggi famosi. Questo poiché le persone si ritengono maggiormente “giustificate” a esprimere il proprio parere (spesso ampiamente negativo) su questi soggetti: sono personaggi pubblici. Non si tratta però esclusivamente di dinamiche di apparizione, ma anche di apparenza, intesa anche come mercificazione del corpo. Molte persone utilizzano oggigiorno i social network come piattaforme di guadagno personale, esponendosi così all’assimilazione, voluta o meno, con meri prodotti. Non si tiene dunque conto della loro sensibilità e delle loro possibili problematiche interiori. Infatti, non è raro che dietro a profili di celebrity con vite e corpi apparentemente perfetti si possano celare persone normali con insicurezze personali, che potrebbero essere aggravate da questi veri e propri Hate speech perpetrati nei loro confronti, con possibili conseguenze ipoteticamente pericolose sulla loro persona.
Allargando la prospettiva, il fattore pubblico di per sé dei profili famosi e l’abitudine stessa nel trovarli pieni di commenti e giudizi creano un ambiente favorevole alla proliferazione di questo sistema tossico, che va ormai a toccare anche i profili di persone comuni. Normalizzare il bodyshaming su persone note fa sì che una più ampia fetta di popolazione se ne ritrovi vittima.
A tale proposito numerose legislazioni si stanno muovendo per andare a sanzionare tale fenomeno nelle sue più ampie applicazioni e i social network si stanno adeguando, anche se lentamente, al controllo delle attività svolte sulle proprie piattaforme per evitare il dilagare di eventi simili. Iniziative lodevoli senza dubbio, anche se forse è la mentalità della gente il vero problema: è quella che dovrebbe cambiare.
Il fenomeno in questione ha generato anche una reazione di direzione totalmente opposta. Sono nati, in risposta a haters e divulgatori di insulti sui social, dei sostenitori di corpi e visi non canonici. Un’idea tutt'altro che sbagliata ma, come in tutte le cose, anche qui si arriva all’estremismoNello specifico si parla di vere e proprie manifestazioni di corpi obesi e malsani, che vengono idolatrati come corpi veri, autentici e “reali”. Anche questo meccanismo è sbagliato, tanto quanto il bodyshaming stesso: manda un messaggio di alimentazione scorretta e forse inneggia troppo alla mancata cura del proprio corpo.
Il punto è che al giorno d’oggi i social rappresentano un’arma a doppio taglio. Potrebbero essere dei canali di divulgazione di messaggi, di informazioni e di body positivity. Possono però anche facilmente trasformarsi in scenari di bullismo e bodyshaming, per non parlare delle rappresentazioni di come un corpo dovrebbe essere. I giovani, i maggiori fruitori di social, recepiscono moltissime rappresentazioni sbagliate sia sull’eccessiva magrezza sia sull’eccessiva obesità.
Bisogna fare attenzione e sapere valutare ciò che si vede dagli altri, ma anche ciò che si posta in prima persona. Sui social alla fine ci siamo tutti e tutti siamo allo scoperto, trattati come “personaggi famosi”: in un certo senso è come se vendessimo la nostra immagine alla gente, che si sente poi libera di commentarla e recensirla. Il senso critico e direi anche quello umano deve partire da noi stessi; ciò che si semina, si raccoglie.
Autore: Elisa Caravaggi


Bellissimo l'articolo