Cronache di resistenza
- Accorciamo le distanze
- 28 set 2022
- Tempo di lettura: 7 min

Questa storia è realmente accaduta e il tono tragicomico che la pervade è il motivo per cui mi piace rivangarla periodicamente. Il protagonista di questo racconto, avvenuto quando avevo 19 anni, sono ovviamente io, desideroso di rendere pubblico le mie esperienze, andando a soddisfare la mia mania di protagonismo. Tutto inizia con me in macchina insieme al mio fidato compagno d’avventura John, diretti al punto di ritrovo stabilito dai nostri compagni. Il nostro animo è pervaso da uno spirito di iniziativa e di speranza di cambiamento che può solo caratterizzare un ragazzino (non che adesso sia adulto) che ha tutta la vita davanti.
L’altro grande protagonista è Dick, di nome e di fatto, uno pseudo-rivoluzionario di sinistra, per come lo definisco io, dato che la gente come lui ha una fobia particolare per le etichette. Dick ci ha invitato a questa sorta di contro protesta organizzata dal Partito, contro un comizio dell’opposizione. Il fatto che Dick e il suo plotone romantico si uniscano ad una manifestazione autorizzata e organizzata dal Partito (in cui nessuno di noi mobilitava, data la sottile conciliazione ideologica) ci ha stupito e principalmente per questo motivo io e John abbiamo accettato di partecipare. Siamo ovviamente in ritardo ma poco male, ci uniremo al corteo appena potremo. In effetti non abbiamo avuto molti dettagli, ma John è fiducioso, mi ha convinto lui a partecipare, mentre io, nonostante un cattivo presentimento, mi sforzo ad esserlo. Tutto crolla con la chiamata di Dick, il quale ci fa notare che la nostra presenza è al quanto necessaria e ci invita quindi ad affrettarci dato che “abbiamo bisogno di voi due”. Il presentimento è più tangibile adesso e comincio a tratteggiare varie possibili situazioni future con John: nel migliore dei casi veniamo schedati, nel peggiore veniamo pestati. Ma la mia sidekick è ancora fiduciosa e mi rassicura, nonostante ormai senta che la situazione non è per nulla come era prevista.
Arriviamo al posto stabilito e assistiamo alla prima delusione: altro che Partito, altro che manifestazione seria, davanti a noi si erge un’armata Brancaleone, una combriccola di soli nove componenti. Come diavolo si fa a creare una vera mobilitazione di protesta con solo nove soggetti? Soggetti tutti provenienti dalla risma di Dick, anticonformisti al quadrato, gente così ottusa che fai prima ad abbandonarla a se stessa altrimenti trascina anche te nell’abisso ideologico.
È chiaro, Dick ci ha fregato e noi due, cretini, ci siamo cascati.
Superata - si fa per dire - la prima delusione, salutiamo la nuova generazione di partigiani e chiediamo qual è il piano. Ed ecco la seconda delusione, non hanno la più pallida idea di cosa fare. Sanno solo una cosa: sanno che qualsiasi cosa faranno, è la cosa giusta da fare. Sono così i partigiani del terzo millennio, non importa se non si sa come o perché, importa che il tuo ideale, e bada solo il tuo, trionfi contro il sistema.
Dopo qualche accenno di opzioni sul da farsi, l’illuminazione, il piano perfetto, degno dello stato maggiore sovietico. Si propone di mandare due persone all’interno dell’edificio dove si tiene la festa del Partito avversario, dove stasera ci sarà l’ospite d’onore. I due agenti della STASI avrebbero avuto il compito di intercettare il movimento in uscita del Ministro per poter avvisare l’Armata Rossa, affinché essa potesse sbarrare la strada, creando così una schiera impenetrabile di fieri guerrieri rossi, temprati dal freddo e dall’ingiustizia. Ma chi mandare? Ci vuole qualcuno in grado di mimetizzarsi a pieno nell’ottica conservatrice e bigotta del Partito ed è per questo che mandano me. In realtà sono il primo a proporre la mia candidatura per la rischiosa missione, non per coraggio ma per astuzia, star lì dentro buono a osservare è sicuramente meno rischioso di finire schedati o peggio. Chiamatela codardia, paura, inadempimento al dovere, io la chiamo sopravvivenza (e grande paraculata). Il mondo è dei furbi, non dei temerari.
Insieme al fido John mi dirigo verso l’obiettivo; l’edificio è circondato da forze dell’ordine d’ogni tipo. Quanto sollievo ci pervade quando capiamo cosa io e il mio compare abbiamo scampato. Entriamo nel cortile pieno di gente, nonostante piova. Quanto ci deve tenere una persona se aspetta il Ministro addirittura fuori per vederlo passare, benché piova? L’aria che tira infatti è un’affannata idolatria verso l’ospite d’onore. Entriamo dentro. Ancora più gente. Mi sento come una pecorella che varca la soglia della tana del lupo. Troppi lupi. Visi incarogniti, grugni canini mangiano, bevono e soprattutto aspettano con ansia l’arrivo del padrone.
Come quando arrivano le bistecche e i cuccioli affamati fanno festa, saltando e abbaiando, ecco le urla, la commozione, l’euforia quando entra e percorre tutta la sala, innalzandosi sul palco, accompagnato da scroscianti applausi. E come il bambino che osserva meravigliato il maestro che gli insegna come è fatto il mondo, così il pubblico guarda incantato il Ministro che con tale maestria porta tutti a rimanere quieti e mansueti. Il discorso del Ministro dura venti minuti ed è caratterizzato da una capacità comprensiva pari ad un bambino di tre anni, toccando inaspettatamente temi che ormai credevo passati nella linea ufficiale di quel partito, primo tra tutti la preferenza per un punto cardinale a lui caro. Nel mentre io e John, cauti e imbarazzati, cerchiamo di non dare nell’occhio. Sembra che tutti ci caschino, siamo riusciti nell’intento di infiltrazione nelle linee nemiche. Proprio mentre realizzo che si può uscire da questa situazione dignitosamente, John apre la cerniera del giubbotto per il caldo: un rosso sgargiante con il faccione di Che Guevara inonda la monotonia di vestiti neri della folla. Con un balzo più che felino gli chiudo il giubbotto e gli ricordo che entrambi vorremmo avere un’aspettativa di vita superiore ai 19 anni. Dopo un possibile colpo di scena a nostro sfavore, cominciano le telefonate continue di Dick che continua a chiedere informazioni sui movimenti del Ministro. Il piano operativo ora è avvisare l’uscita del leader dall’edificio, per far sì che il resto del Plotone Rosso possa effettivamente mettersi in formazione di combattimento. Peccato che il target continua a rimanere, a fare foto con vari fan, mangiare la salamella e conversare con amici e collaboratori. Più il tempo passa, più siamo dell’idea che la missione debba andare a monte e che se venisse messa in pratica, risulterebbe un fallimento totale.
La scena diventa tragicomica: il Plotone Rosso, che fuori continua a chiamarci, è pronto con striscioni e bandiere ad accogliere il Ministro, infreddoliti e bagnati, mentre il Ministro è lì tranquillo a godersi compagnia e buon cibo, confortato dal calore proveniente dalle stufe e dagli ammiratori. Dopo due ore, passate a guardare una star della politica che viene osannato, dopo due ore a contatto con persone con uno squisito bagaglio culturale e politico, io e John disertiamo. Per noi la missione è fallita. L’obiettivo non si muove dal fortino e la sua milizia armata circonda l’edificio completamente, rendendo così anche inutile un possibile attacco da parte del plotone. Non è però una diserzione a cuor leggero e proprio per questo decidiamo di chiamare un’ultima volta il comandante per l’ultimo saluto e avvisarlo del nostro esilio volontario. Chiamiamo Dick per spiegargli che la missione è infattibile secondo il semplice fattore logistico, data la forte presenza delle forze dell’ordine che hanno circondato l’intero edificio. Ma la missione è anche totalmente dannosa per l’immagine che si dà dell’opposizione, dando spunti al Ministro anziché danneggiarlo. Un gruppo sgangherato di nove cani bagnati che vuole manifestare veementemente con cartelli e insegne dà segno di debolezza e disorganizzazione e questo il Ministro lo sa bene, pretesto perfetto per poter aizzare i presenti contro di noi. Infine, l’occasione costituisce anche un trampolino di lancio per me e John per poter esprimere il nostro oramai dissenso totale per questo genere di manifestazione. Questa è l’ultima volta.
Ma non gli diciamo questo, perché Dick non risponde. Chiamo una seconda volta e non risponde. Una terza, una quarta, dodici chiamate. Alla tredicesima chiamata risponde ansimando, dicendoci di uscire e di trovarsi al parcheggio dove avevamo lasciato le macchine. Tra il sollievo e la preoccupazione imminente lasciamo il fortino difeso ancora da grugni e forze dell’ordine per poter ricongiungerci al plotone, senza neanche aver fatto la figura dei disertori.
Tornati al parcheggio vediamo l’Armata Rossa in cerchio a conversare amabilmente e a ridere. Ci avviciniamo e chiediamo cosa sia successo. Allora ci raccontano il presunto scontro. Bisogna capire innanzitutto che per ogni vero guerriero che si rispetti lo spionaggio, come la diplomazia, è materia inutile. Il guerriero vuole lo scontro, l’azione, egli trova onore solo in questo. Infatti, stanchi di dover aspettare il via dei due infiltrati, l’Armata Rossa si erge davanti al cancello del cortile del fortino, cominciando a urlare, intonare cori e mostrando striscioni. Peccato che il solo pubblico che assiste alla scena è la pattuglia fuori dal cortile, la quale immediatamente li ferma, li scheda e intima loro di allontanarsi dall’edificio.
Il sunto dell’episodio è presto detto. Nove persone senza idee chiare e strategia mettono in pratica un piano bislacco, mandando due persone all’interno dell’edificio dove c’è il comizio dell’opposizione. Aspettano due ore, stanche di aspettare si mettono davanti all’edificio, ma vengono subito fermate e allontanate dalle forze dell’ordine. In tutto questo nessuno li ha visti, né il Ministro né i suoi sostenitori. Da ciò cosa si evince? Un totale fallimento. E allora perché queste nove persone sorridono? Perché i loro toni sembrano assumere un atteggiamento di soddisfazione e quasi orgoglio? Perché loro sono convinti di aver fatto la cosa giusta nel miglior modo possibile. Non importa il risultato, d’altronde, sono gli ultimi romantici; importa l’impegno, non l’eventuale efficacia. Importa l’aver combattuto contro il sistema, importa l’averci provato, nonostante siano stati fermati subito. Loro dormiranno come bambini stanotte, andranno a casa soddisfatti di aver compiuto il proprio dovere, come una qualsiasi persona che torna a casa la sera, stanca ma gratificata dal lavoro svolto. Mentre io e John no. Io e John passiamo tutto il viaggio di ritorno in macchina in silenzio, avvolti da un alone di tristezza e amarezza.
Autore: Alessandro Mastrosanti
Comments