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Due piccioni sul tetto antistante


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Da diverso tempo, quasi ogni mattina, una coppia di volatili mi parla d'amore e non solo...


Non saprei dire se sono sempre gli stessi, non conosco la lunghezza media della vita di questi animali, ma sono anni che li noto guardando fuori di prima mattina, ancora un po' assonnato, oltre la porta finestra del balcone, attraversando l'antico cortile, quando cerchi di capire che tempo fa e scruti il cielo cercando una risposta, un segnale o una rassicurazione.


Pur da una certa distanza, e confesso di non sapere bene come materialmente capire anche se fossero più vicini, mi è palese che sono un maschio e una femmina o forse così convenzionalmente mi viene da pensare: sono di struttura diversa, uno più robusto e l'altro più minuto, e si scambiano continuamente tenerezze. Ad osservarli ho cominciato casualmente ma, proprio per questo atteggiamento, hanno catturato la mia curiosità, non come quella di un qualsiasi guardone da strapazzo con occhio invadente e inopportuno, ma appunto con quel trasporto di chi vuole capire, conoscere, indagare il loro comportamento, alla ricerca di una comprensione e una ragione per una mossa, uno scarto, uno sbatter d'ali, uno struscio dei becchi.


A conferma della mia supposizione che si tratti effettivamente di una coppia (ma i piccioni sono monogami?) ci sarebbe la recente apparizione lungo le tegole di un saltellante piccolo esemplare, ovviamente già in grado di volare, che accompagna un po' annoiato e impaziente le smancerie dei (presunti) genitori, fino a mollarli dopo un po' di tempo e librarsi in volo nell'apoteosi della sua giovane vita. Li guardo tubare, attanagliato da una malcelata voglia di intrusione nelle loro vite, quasi a volerne capire la bellezza, il perfetto equilibrio, l'innocenza delle relazioni, la trasparenza sincera, senza sconti o ambiguità, e mi scuoto poi con un pizzico di vergogna domandandomi cosa mi porta a queste considerazioni, cosa mi colpisce così profondamente da donarmi quel buonumore che fa così bene all'inizio di una giornata, da farmi ritagliare senza nemmeno accorgermi un sorriso, come una spinta, un atto di forza, un pensiero sereno. E poi, diciamocelo, stiamo parlando di due animaletti neanche troppo importanti, anzi per certi versi pure dannosi con il loro sterco corrosivo che rovina le grondaie, con la loro presenza invadente sopra le case, i vicoli, le piazze, che li fanno generalmente odiare dai più, invocandone una riduzione e un controllo nel loro proliferarsi: quasi ogni tetto è ornato da pungiglioni o altre diavolerie utili a tenerli lontani, a scoraggiarne la presenza.


E allora cos'è che mi coinvolge in loro? Amore per gli animali? Mah..... la ragione non mi sembra sufficiente per nulla: pur rispettandoli e amandoli anche se non tutti (gli animali intendo) non ho certo il piglio dell'animalista, tantomeno quello odioso e oltranzista che ti accusa di assassinio se mangi la carne, non ho nemmeno quel trasporto, per certi versi imbarazzante, di chi li tratta con una sacralità che va ben oltre la sfera religiosa, quasi ad assolutizzarne il valore, certo di una creatura di Dio, ma pur sempre nei limiti di un ruolo preciso e di una indiscutibile mortalità.


Certamente questi due piccoli volatili avrebbero potuto, con una attenzione nei loro confronti quasi di sufficienza o con un coinvolgimento di altro tipo, darmi un'impressione diversa, una noncuranza, uno sguardo indifferente o infastidito; avrebbero potuto magari darmi un senso di disgusto o, addirittura, di timore e inquietudine, come un presagio nefasto, come una iattura o una tragedia, un pericolo incombente o reale quasi avessimo a che fare con Gli Uccelli di Hitchcock, la loro ferocia devastante, distruttiva e assassina.


Ma non è così, e allora cos'è? Perché un'immagine alla fine quasi banale mi crea questi pensieri, mi richiama emozioni, mi pone domande? Perché ne parlo come fosse una cosa importante, da condividere addirittura con altri, senza quel pudore o ritegno, tante volte utili nella vita per evitare brutte figure o commiserazioni?


Non lo so, la cosa è venuta spontanea, senza preavviso, ispirata forse da un bisogno o da un impegno, forse è rimasta troppo tempo chiusa in un cassetto, come una vecchia fotografia giovanile in bianco e nero che improvvisamente riappare e allora cominci a viaggiare nei ricordi, nel pieno dei tuoi anni con gli amori, l'entusiasmo, la rabbia, le solitudini, l'energia, i torti, gli sbagli, le offese, i pianti, le risate piene, gli abbracci, la commozione, gli addii.


Cominci a ragionare su cosa ti succede mentre sei al mondo e ti senti sempre in continua ricerca, le domande sono sempre presenti ma non sono angoscianti, non sono motivo di rassegnazione o di tristezza, sono invece vita, sono sangue nelle vene, sono motivo, forza, ragione, senso.


E allora mi viene da pensare che l'osservazione dei due piccioni sul tetto antistante, e tutte le sensazioni che mi rimanda, non c'entra nulla con loro in quanto tali, non conta che siano degli animali o qualsiasi altra cosa, essa è solo, ma non nel senso riduttivo, la rappresentazione plastica di un momento di vita.


Mi viene da pensare che anche in due piccoli animali e nei loro comportamenti possiamo leggere noi stessi, possiamo specchiarci e cercare, cercare, cercare di capire.


Mi viene da pensare alla trasparenza che manifestano nel loro rapporto, senza maschere o ambiguità, e ancora alla loro semplicità, quella “difficile a farsi”, che non ha niente a che fare con il semplicismo di certi giudizi, con il virulento e insopportabile vociare dei talk-show nazionali, di chi specula perfino sulle tragedie collettive, come il tempo difficile che stiamo vivendo.


Mi viene da pensare che l'immagine di questi uccelletti è come un affresco, un'opera d'arte, come un quadro, una recita, una musica che ti attanaglia e ti emoziona, ti mette in equilibrio esatto tra cuore e mente, dove l'espressione artistica è un linguaggio per comunicare nella complessità, ma anche nel fascino, dei rapporti umani.


Mi viene da pensare alla bellezza che “salverà il mondo” ma anche all'ironia, alla capacità di sapersi prendere in giro, sorridendo delle nostre fragilità, come un motivo di incontro ma anche di rassicurazione in un mondo di diversi e uguali.

Mi viene da pensare a un Dio simpatico, che non punisce, non ci mette ansia, non ci giudica in continuazione ma ci è complice, come l'amicone con cui alziamo il calice nell'ennesimo brindisi.


E forse non è sempre vero che, a volte, non possiamo scegliere: persino nei momenti più bui e di fronte alle più grandi ingiustizie, c'è stato qualcuno che ha avuto il coraggio della libertà.


Ma “beato il popolo che non ha bisogno di eroi” certo, forse basterebbe “solo” tentare, ascoltare, rischiare...


Autore: Carlo Calvi (presidente CAS)



 
 
 

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