top of page

Facebook mi ascolta?


Tutta la verità sulle pubblicità personalizzate sui social


Una domanda che almeno una volta nella vita ci siamo posti tutti è: ma i social ci ascoltano?


Quante volte ci è capitato di aver parlato di un certo prodotto o marchio con amici o famiglia e poi essercelo ritrovato tra le pubblicità nella home di Facebook o tra le storie su Instagram? Nel web girano anche numerosi meme su questo fatto, ma è davvero così? I social ci leggono nel pensiero?


In effetti ogni social network su cui siamo registrati attua un processo di social media monitoring e social media listening. La differenza tra i due processi è minima: il primo registra tutte le nostre azioni sui social e il secondo spiega il perché avvengono, quali sono i meccanismi e i comportamenti che hanno portato a esse. Ci ascoltano quindi? Non proprio.


Siamo in realtà noi ad ascoltare loro! Tutti i brand creano una strategia per pubblicizzare i propri prodotti in modo tale da raggiungere ogni possibile cliente, o meglio, ogni cliente che rientra nel proprio obiettivo.


Ma come funziona in pratica? Partiamo con un esempio. Se fossimo un brand che produce scarpe per fare trekking in montagna, vorremmo raggiungere tutte le persone che fanno trekking in montagna, tutte quelle che vorrebbero iniziare a farlo e così via. E come trovarle? Sicuramente queste persone, navigando sul web, cercano spesso articoli relativi al trekking o blog dove recensiscono posti belli dove andare a fare trekking o ancora seguono sui social pagine dedicate. In questo modo è il cliente stesso ad entrare nella “trappola” del brand! Quest’ultimo infatti controlla queste pagine e le azioni compiute su questi social e cerca di attirare a sé chi ci naviga dentro, attraverso i processi di social media monitoring e listening per l’appunto. Spesso basta cercare “posti trekking lombardia” su un qualsiasi browser per finire nel mirino del brand che abbiamo come esempio.


Un altro strumento fortemente utilizzato dai brand per trovarci sono gli influencer. Di queste persone influenti ce ne sono per tutti i gusti! Dobbiamo scordarci che siano soltanto le vere celebrità con milioni di follower al seguito: esiste in realtà un universo variegatissimo di tali figure, con dei più o meno ampi gruppi di spettatori. Il compito di ogni brand è trovare e collaborare con gli influencer che più si addicono al loro target di clientela. Ovvero, mantenendo l’esempio del marchio di prima, si dovrebbe scegliere come influencer qualcuno di sportivo che consiglia spesso percorsi interessanti e che pratica questo sport frequentemente! Sicuramente non sceglieremmo Chiara Ferragni per pubblicizzare il nostro prodotto, nonostante il suo grande seguito e la sua influenza. Anzi, spesso è consigliabile scegliere diversi piccoli influencer che abbiano un minor seguito, in modo da raggiungere il più ampio numero di persone ma con interessi di nicchia e con un rapporto più intimo e personale con l’influencer.


Il digital marketing non è affatto semplice e le scelte giuste riguardo l’influencer marketing sono delle vere e proprie sfide. Bisogna studiare il profilo giusto dei possibili compratori del marchio e contattare le persone che davvero le possano muovere verso la compera: è un gioco competitivo volto ad abbinare gli interessi dei possibili clienti alle persone che seguono e di cui si fidano per i propri acquisti.

Sotto questo punto di vista bisogna segnalare negli ultimi anni la comparsa degli influencer robot, ovvero persone finte, create al computer e adattate a vivere in un mondo virtuale ma che funzionano come veri e propri influencer. Fra questi il profilo più famoso è sicuramente @lilmiquela, una cantante influencer robot, di anni 20 ma con un seguito a 6 cifre. Lei, come tutti gli altri profili fittizi, non nasconde la loro natura da robot, anzi più volte nei loro profili ribadiscono di non essere persone in carne ed ossa; nonostante ciò, il loro lavoro funziona e la gente si fida dei loro consigli e dei loro prodotti proprio come se fossero esseri umani. Ma perché un brand dovrebbe scegliere di collaborare con un influencer robot invece di uno fisico e reale? Semplicemente perché un robot può essere ciò che gli chiedi di essere. Se per esempio fossimo un brand che produce accessori a sostegno della comunità LGBTQA+ e volessimo contattare un influencer, dovremmo cercare persone che sostengono tale comunità o persone che ne fanno parte; un robot semplicemente può cambiare la sua sessualità come preferisce e sarebbe più facile crearne uno ad hoc per l’occasione, anziché cercare qualche persona reale che soddisfi i requisiti, anche e soprattutto perché si toccano temi delicati e personali per una persona vera.


A questo punto torniamo alla domanda che dà il titolo a questo articolo. I social ci ascoltano? Come abbiamo già detto: no. Semplicemente i marchi attraverso le nostre ricerche ed azioni quotidiane online ci hanno ritenuti loro possibili clienti, o perché siamo interessati a particolari attività o perché seguiamo persone influenti specifiche. Ad ogni modo siamo noi con le nostre azioni ad aver acceso il loro radar e ad essere entrati nella loro rete, probabilmente interagendo con loro molto prima della pubblicità che ci compare sulla home di Facebook. Si creano indubbiamente dei casi inaspettati, ma purtroppo -e per fortuna- non c'è nessuna magia!


Comprensibilmente, questo fenomeno si trova spesso al centro di numerosi dibattiti sull’eticità e sull’utilità di tali pratiche. Per un brand è sicuramente conveniente agire “controllando” i nostri interessi, invece per la gente comune l’idea di essere continuamente osservati non è affatto allettante. Chiaramente i marchi agiscono nei limiti della legalità e non dobbiamo sentirci letteralmente spiati online! Personalmente penso che suddetta attività di marketing sia in realtà da non condannare, d’altronde alla pubblicità non c’è modo di scappare: a questo punto è molto meglio essere soggetta a pubblicità di brand o prodotti che mi interessano!


 

Autore: Elisa Caravaggi

 
 
 

Commentaires


  • Facebook
  • Instagram
bottom of page