Il CAS - Via Fumagalli
- Accorciamo le distanze
- 11 mag 2022
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Via Fumagalli
L’incontro tra due generazioni è stata la fortuna della sede di via Fumagalli, durata più o meno 16 anni (1999-2015). Io, come altri della mia generazione, si parla di ragazzi nati negli anni 70, ho conosciuto il CAS attorno al 1998. In quel periodo alcuni di noi si trovavano per progettare eventi culturali e sociali sotto il nome di FREEMENTI; avevamo l’esigenza di portare i nostri progetti sul territorio e in quel frangente, grazie anche ad alcuni contatti, ci siamo imbattuti nel CAS, un’associazione già ben avviata, formata da questi “signori” (noi 20enni li vedevamo così), che stavano cercando una sede per poter aprire un bar e proporre eventi; a noi questa loro proposta di cogestione di uno spazio era piaciuta e così abbracciammo questo progetto, inizialmente mantenendo la nostra identità, come Freementi. Fu l'incontro di generazioni apparentemente distanti, ma in realtà molto vicine sia su progetti culturali che sociali. Venne trovata la sede in via Fumagalli. La festa di inaugurazione andò benissimo, venne organizzato uno spettacolo teatrale dal titolo “IL FUNERALE ALLA NOIA”: una processione funebre con alla testa i trampolieri, che portavano la bara della noia, al loro seguito una schiera di donne e uomini e la banda, che attraversò le vie di Inzago, sino ad arrivare alla sede di Via Fumagalli per festeggiare con canti e balli. A ripensarci, non potevamo trovare un nome più appropriato per inaugurare la sede del CAS; con la sua apertura, abbiamo ridato vita alla nostra zona, diventando un punto di riferimento per tante persone, che provenivano anche dai paesi limitrofi. Ricordo che la sede, in principio, era stata arredata ad immagine e somiglianza della “vecchia guardia”, con tendine, centrini sui tavoli e fiorellini; noi “giovani” vivevamo quello spazio come fosse una seconda casa e lentamente, iniziammo anche ad adattare lo spazio ai tempi, avevamo installato uno dei primi internet point della zona, arredammo il locale con divanetti, quadri, colori, manifesti ecc., la musica di sottofondo, il color salmone delle pareti, lasciò il posto al blu ed all'arancione, un amico falegname ci fece anche un banchetto in legno per il dj set, che riportava la scritta “C.A.S. City Rockers”.
Autore: Cristina Galimberti
Un'altra famiglia
Ho iniziato a frequentare il CAS alla fine degli anni 90, per caso una sera degli amici mi ci portarono e mi piacque molto. Iniziai ad andarci come utente tesserata, finchè una sera d’autunno, si alzò una voce dal bancone, era Cristina, che mi chiedeva se mi sarebbe piaciuto fare la barista qualche sera. Accettai molto volentieri. Fu il punto di partenza di tutto, dal bar passai al gruppo cultura e iniziai a partecipare attivamente a tutte le riunioni e le attività dell'associazione. Il CAS era una seconda casa, un punto di riferimento imprescindibile, non soltanto per le attività che si facevano, ma anche per le persone che erano per me, improvvisamente, non solo amici, ma anche famiglia.
Dal bar, iniziammo con le riunioni. Il martedì ci trovavamo con il gruppo cultura, tendenzialmente formato dai giovani, più qualche adulto, ci si occupava della programmazione mensile, ogni mese si trattava un tema (lavoro, stragi, mafia, conflitti internazionali ecc.); il mercoledì era caratterizzato dalle interminabili riunioni, sulla gestione del bar, il metodo organizzativo, le proposte culturali, la parte ludica e le feste!!! (Halloween no perché non ci appartiene; sì, perché bisogna pur divertirsi) quelle riunioni (chi le ha seguite non può dimenticarle) crediamo abbiano permesso a tutti di crescere di imparare a confrontarsi ed a stare insieme. Il giovedì era il giorno dei dibattiti, con personaggi di un certo rilievo, tra cui Giulio Giorello, che ci parlò del conflitto Nord-Irlandese, De Cortes che ci parlò di Piazza Fontana, Raffaele Masto, e molti altri. Il weekend naturalmente era più festoso, concerti e dj-set, generalmente la facevano da padroni, ma capitavano anche degustazioni di vini, birra, salame, oppure incontri più di rilievo, come quello con Giuliana Sgrena, o Aleida Guevara. Il lunedì invece era giorno di cineforum, ovviamente anche i film seguivano il filo conduttore del mese. Erano tutti film d’essai, o comunque non i soliti film che si trovano nelle sale.
Una volta all'anno avevamo la “sessione autunnale”, generalmente dopo la festa del paese, era una due giorni di riunione, con tutti i soci, dove si svisceravano le criticità e si gettavano le basi per le iniziative dell'anno a venire e veniva fatta lontano dalla sede, una volta addirittura in montagna ad Olda, in Val Taleggio (BG).
La sede era un posto di integrazione e di accoglienza, o per lo meno ce la mettevamo tutta, un luogo di incontro e di scambio di idee, una collettività che ancora oggi è unita pur avendo preso strade diverse ed abbiamo anche accolto persone, che per molti erano un vero e proprio fastidio, aprendo le nostre porte anche a chi arrivava da situazioni di disagio sociale, alcune sere, dopo la chiusura, durante le nostre chiacchierate intorno al tavolo, ci chiedevamo se eravamo degli assistenti sociali.
Non eravamo solo un gruppo, un’associazione, eravamo amici, ci frequentavamo anche al di fuori del CAS, ci si aiutava un po’ in tutto, a imbiancare le nostre prime case, a fare i traslochi, si cenava insieme, si andava insieme ai concerti. Eravamo “QUELLI DEL CAS”, e ne andavamo fieri, c’era il nostro nome seguito da “del CAS” come fosse una sorta di cognome. Eravamo una famiglia.
Intanto, la società civile, alla fine degli anni 90, era in subbuglio; stavano succedendo tante cose, la globalizzazione, i movimenti no global, Genova e il G8, l'11 settembre, le guerre, le “nuove” destre; tutto questo non poteva rimanere fuori da quello che era il CAS, abbiamo quindi fatto rete con le associazioni e centri sociali del territorio, un'amalgama di realtà eterogenee e complementari, contribuendo così alla nascita del “Nodo Martesana”, in previsione di “Genova 2001”. Molti di noi andarono in corteo, altri invece organizzarono una sorta di campo base, con un presidio in piazza a Inzago, dove veniva filodiffusa la diretta di Radio Popolare, chi stava in piazza fungeva da ponte per chi invece era in corteo; dovete sapere che nel 2001 non c’erano gli smartphone ed i cellulari non erano molto diffusi, e con quei pochi a disposizione, contattavamo chi era in corteo per avvisarli di cosa stava avvenendo. Il presidio in piazza era diventato anche un po’ un punto di riferimento per i genitori dei ragazzi in corteo.
Nel 2011 i locali della sede furono oggetto di un incendio, causato da un corto circuito. Lo spettacolo al mattino fu qualcosa di orrendo e doloroso. Il bancone e i tavoli bruciati, le mura nere, un odore acre impregnava l'aria, tutti i nostri ricordi di serate, i manifesti, le foto, i quadri bruciati e persi per sempre. È stato un colpo duro, ma anche grazie a quello che avevamo seminato negli anni, in quell’occasione ci fu un'ondata di affetto e solidarietà da parte di alcune realtà della zona, alcuni addirittura ci prestarono lo spazio per poter organizzare delle serate di raccolta fondi: il Bloom, il Baraonda ed l CPG di Melzo.
Con fatica e con qualche perplessità per l’economia della sede riuscimmo a riaprire e fare una nuova inaugurazione, caratterizzata da una grande partecipazione e grande affetto.
Ci sarebbero mille altre cose da raccontare, incontri e dibattiti sull’acqua bene comune, incontri e spettacoli teatrali sulle mafie, abbiamo ospitato altre associazioni tra cui “Addio Pizzo”, “A.Vo.Mi”, Malabrocca e altre ancora, ma abbiamo trovato il modo anche di divertirci, indimenticabili alcune serate di concerti o dj set, le famose jam session di Natale, la tombolata di Santo Stefano, era bello stare tutti insieme, divertirsi, ridere, conoscersi, ascoltare e ci sono stati anche gli scazzi, no, non ne siamo stati immuni, conflitti generazionali e intra-generazionali, ci sono stati, ma siamo sempre riusciti a superarli, come nella migliore delle famiglie e ci hanno aiutato a crescere e renderci più uniti.
Il CAS ci ha cresciuti, formati e ci ha insegnato non solo a sognare in grande, ma anche che è vero quando si dice che, se una cosa puoi sognarla, la puoi anche fare. Con sede, o senza sede, il senso di famiglia è rimasto come la voglia di fare e di stare insieme nonostante gli impegni, le famiglie e il lavoro, l’affetto resta, il sorriso incontrollabile quando vedi i tuoi compagni di avventura, nonostante il tempo passato. Ci capita ancora spesso di vedere gente conosciuta grazie al CAS, che frequentava la sede, ma era membro di altre realtà e di sentirci chiedere del CAS e veder la gioia nel volto quando apprende che ci siamo ancora, che resistiamo ed esistiamo, nonostante la difficoltà del tempo.
Forse un libro non basta per raccontarci tutto, non basta una vita per raccontare la storia di questa associazione, che chiamarla associazione è davvero riduttivo, per noi che ci abbiamo messo tutto il cuore possibile e continuiamo a farlo.
Autore: Manuela Gargantini
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