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Il Coronavirus ai tempi dei Promessi Sposi

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Tutti hanno paragonato la situazione attuale al celebre romanzo di Manzoni, ma sono sicura che molti di noi non si ricordano esattamente il perché...


Sappiamo che il libro è ambientato nel diciassettesimo secolo all'epoca della peste, ma l'autore ne parla in modo approfondito solamente nei capitoli XXXI e XXXII. In queste pagine la narrazione si interrompe e si avvia una vera e propria ricostruzione storica dei fatti. Manzoni è tra i primi scrittori a raccogliere le informazioni del periodo e a tracciare un bilancio completo: niente invenzioni né fronzoli, solo la verità.

Nel seicento la peste si presentò in modo inaspettato sulla scena italiana. Le autorità dell'epoca sottovalutarono la situazione e ciò permise al morbo di diffondersi. La popolazione non credeva né nell'esistenza né tanto meno nelle cause della peste: i pochi che cercavano di metterla in guardia venivano derisi come allarmisti. Di fronte al numero sempre più crescente di morti, il popolo si scagliava contro i medici, ritenuti incapaci di fare il loro lavoro. Quando le autorità si resero conto della gravità del problema, ormai era tardi: non erano in grado di affrontare l'epidemia. Al passaggio dei Lanzichenecchi (soldati mercenari), i contagiati aumentarono in modo esponenziale. Il Tribunale di Sanità decise di agire, anche se tardivamente: creò il Lazzaretto, un luogo dove incominciò a portare tutti gli appestati per isolarli dal resto della popolazione. Le persone venivano così allontanate dai loro cari, senza saper quando e se sarebbero tornati a casa: i rapporti tra le autorità e il popolo si inasprirono, creando una forte tensione sociale. Nel tempo si scoprì che il contagio si propagava grazie al contatto fisico, ma era opinione comune che fossero solo alcune persone i veri responsabili. Li chiamavano “untori” per via di un episodio in cui degli uomini furono visti ungere un'asse vicino al Duomo di Milano: la popolazione credeva che la peste fosse causata da unguenti velenosi e i successivi casi di edifici unti portarono a una vera e propria psicosi. Malgrado questa paranoia generale, alcune persone non credevano ancora nell'esistenza della peste. Tale diffidenza potrebbe essere stata influenzata dal fatto che molti casi non vennero segnalati: alcuni medici non attribuivano la giusta causa della morte, mentre una parte dei contagiati non diceva nulla per paura di essere mandata nel Lazzaretto. Questo luogo continuava a incutere timore, benché fosse gestito dai frati Cappuccini al meglio delle loro possibilità e senza ricompense. Il morbo continuava a diffondersi e nessuno riusciva a capire poi tanto, specialmente come mai alcuni sopravvivessero e altri no. I magistrati chiesero al governatore aiuti fiscali e la sospensione delle imposte, ma senza successo. La paura portò ai linciaggi contro i presunti untori. Allo stremo delle forze, il Tribunale della Sanità fece un ultimo tentativo: attuò prescrizioni più restrittive e impose ai malati di stare a casa, in alternativa all'ormai pieno Lazzaretto. I funzionari adibiti all'emergenza furono decimati a causa del contagio e il ricambio era quasi impraticabile. Stato e Chiesa continuarono a impegnarsi, anche se non fu sufficiente.

Leggendo questi capitoli manzoniani, alcuni collegamenti con la realtà attuale mi sono saltati subito agli occhi. Il Coronavirus si è propagato lentamente nel mondo e qualsiasi Stato l'aveva sottovalutato. Fino a sei mesi fa ogni persona sulla Terra avrebbe sostenuto che si trattasse di una semplice influenza e avrebbe deriso gli allarmisti. Tale atteggiamento ha portato a una pandemia e ogni Stato si è ritrovato a fronteggiare qualcosa di impensabile e abominevole. I malati più gravi sono stati separati dagli affetti, senza aver la certezza di rivederli. I contagiati ancora in grado di respirare da soli e gli asintomatici sono reclusi nelle proprie abitazioni, in attesa di guarire. In casa ci sono però anche i sani: una quarantena indotta dopo che forme meno restrittive di arginamento del contagio non hanno funzionato.


Questo periodo sembra una prigionia, in cui la solitudine e la paura spesso sfociano in frustrazione e, a volte, in vera e propria tensione sociale. Le misure prese sono rigide, ma la trasmissione del virus le rende necessarie: basta una carezza, un abbraccio o solo stare troppo vicini per contagiarsi. In Italia l'insofferenza per la situazione ha portato a qualche infelice episodio di linciaggio contro persone di origine cinese, considerati da alcuni come i portatori del malanno. Credo che anche in altri Paesi ci siano stati episodi simili. La realtà è che l'epidemia è arrivata tempo fa: probabilmente molti casi non si sono registrati perché non è stato riconosciuto il Coronavirus. Ora il numero dei contagiati aumenta ogni giorno: mancano attrezzature sanitarie, mancano posti letto negli ospedali, mancano medici e infermieri. Questi ultimi stanno compiendo sforzi eroici, spesso purtroppo a discapito della loro salute; diversi ormai sono malati e sostituirli è sempre più problematico. Non riuscirei neanche a esprimere la gravità della situazione negli stati più poveri, dove questo virus si aggiunge alla già lunga lista di problemi, non unicamente sanitari.


Le mie parole non possono che evidenziare la similitudine delle due epidemie. Credo che ciò dimostri indubbiamente una certa ciclicità storica, ma anche molto di più. Mette in luce che non importa se stiamo vivendo cinque secoli dopo il Seicento o tre dopo Manzoni: siamo uguali a quelle persone, siamo quelle parole. La paura ci paralizza, distorce la nostra percezione e il nostro giudizio. Non riusciamo sempre a prevedere le conseguenze di una situazione, ma anche successivamente alla loro scoperta non le accettiamo subito. Abbiamo ancora bisogno di tempo per elaborare, per capire. È uno scenario alquanto tetro, ma sottende un risvolto della medaglia: alla fine noi reagiamo e sopravviviamo. Non credo che il domani prenderà una piega diversa; dobbiamo solo farci forza e aspettarlo. Come ho già accennato la storia è ciclica: dopo ogni crisi, c'è la rinascita.


Autore: Bianca Calvi

 
 
 

1 commento


marco calvi
marco calvi
29 apr 2020

Brava bianca

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