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Il maschilismo e la mascolinità tossica: una prospettiva tutta maschile


Il tema della mascolinità tossica è sempre più diffuso, ma non tutti sanno davvero cosa sia e come influenzi la società, approfondendo questa tematica attraverso esperienze personali e opinioni dei nostri coetanei.


Negli ultimi anni l’espressione mascolinità tossica si è catapultata al di fuori dei corsi di antropologia per approdare nel linguaggio comune. Essendo però un concetto totalmente, o parzialmente, nuovo il suo significato non è spesso compreso a pieno.


Si potrebbe definire la mascolinità tossica come un insieme di comportamenti e credenze culturali che comprendono svariate pratiche come il mantenere un’apparenza stoica, sopprimere le emozioni, mascherare sentimenti come disagio e tristezza, arrivando infine a utilizzare la violenza come un indicatore di potere.


Questo insieme di comportamenti si ottiene sicuramente con un cocktail ben preparato di insegnamenti erronei che dividono sistematicamente attraverso il binarismo di genere la società e che influenzano sin dalla più tenera età gli uomini a non assumere atteggiamenti incasellabili nella sfera femminile, considerati indicatori di debolezza.


È nel concetto di “vero uomo” che risiede la chiave per capire cos’è davvero la mascolinità tossica; un insieme di criteri che indicano come un uomo deve essere, stigmatizzando ogni comportamento non perfettamente stabilito come fattore di non mascolinità e di debolezza.


Da questa definizione possiamo capire come la stessa derivi banalmente dall’incapacità di accettazione dell’inesistenza di un modello fisso secondo il quale le persone agiscono nella società, andando contro la naturale logica che è uomo chiunque si senta tale.


Proprio per questo motivo, nonostante quando si parla di mascolinità tossica si pensi subito all’influenza negativa che questo fenomeno ha sulle donne, la fascia di popolazione che ne risente maggiormente sono proprio gli uomini.


Lo status di uomo è spesso marcatamente presente, ma allo stesso tempo fragile, nella maggior parte delle società umane, ponendo l’ottenimento di questo attributo attraverso riti di passaggio che variano da civiltà a civiltà. Se la sua acquisizione è estremamente complicata, la perdita è invece semplicissima; un comportamento o atteggiamento non ritenuto abbastanza virile fa ritornare al punto di partenza, ovvero a non essere uomini.


Ogni cultura ha una sua particolare forma di mascolinità tossica e ha singolari criteri per definire ciò che rende una persona uomo e ciò che la rende il suo esatto opposto. La conseguenza di questo principio è il diktat di omologazione che impone il soffocamento di qualsiasi caso di variazione a ciò che viene considerata la norma.


Questa è la base da cui partono i giovani uomini che, crescendo, diventano adulti incapaci di riconoscere, affrontare e gestire le emozioni che provano, convinti spesso che la sopraffazione sia l’unico strumento con cui relazionarsi con gli altri.


A monte di questo ragionamento iniziale sul concetto in sé di mascolinità tossica, ci siamo domandati come i nostri coetanei maschi si relazionino con questo problema.


Muniti di tanta pazienza e voglia di confronto abbiamo imbracciato le armi dei vari social per cercare di entrare in contatto con il numero più elevato possibile di ragazzi; è proprio qui che ci siamo trovati un enorme muro davanti.


Nonostante all’inizio ci avesse dato disponibilità per confrontarci un numero sorprendentemente alto di giovani, quando si è proceduto con l’invio delle domande, davvero pochi hanno partecipato e condiviso con noi le loro opinioni e le loro esperienze.


L’affrontare questo argomento direttamente e domandarsi quanto il costrutto sociale nel quale si è immersi abbia influenzato il mindset e il comportamento di ciascun individuo e fino a che punto lo abbia fatto è complicato, soprattutto se si è parte integrante degli ingranaggi del sistema.


La cultura maschilista è pervasiva a tal punto che tutte le volte in cui non si cerca di contrastarla si fa il suo gioco (come nel nostro caso) e nessuna linea immaginifica può eliminare le responsabilità che ciascuno di noi ha.


È da precisare che non osiamo porci come esperti ricercatori, questo articolo non è assolutamente un dictatus sociologico e campionario, bensì un tentativo di aumentare le prospettive di ognuno di noi, allargando il nostro point of view verso persone esterne alla redazione.

Nonostante un primo grosso ostacolo, abbiamo comunque deciso di provare a farci raccontare dai pochi impavidi le loro esperienze, per cercare di capire se l’idea generalizzata di maggiore conservatorismo presente nell’hinterland, e quindi anche di una accentuazione del peso della mascolinità tossica presente in quelle zone, fosse vera.

Le grandi città come Milano sono l’esempio perfetto, di progressismo, fioritura sociale e culturale; il grande numero di abitanti in un luogo ristretto comporta necessariamente di venire a contatto con varie forme di pluralismo culturale. Qui la diversità, forse quasi imposta, influenza, fa scoprire e poi apprezzare il diverso. E in questa ottica di tolleranza estesa a tutti gli ambiti è più facile vedere ridimensionate, anche se non annullate, alcune ingiustizie sociali rispetto alla provincia, come razzismo, maschilismo, o omofobia.


La provincia viene invece tendenzialmente associata alla sterilità, al conservatorismo oppure alla staticità sociale. Nel piccolo paese, con pochi abitanti e tendenzialmente affini tra loro magari anche dal punto di vista fisico, ci si può trovare in una bolla tendenzialmente conservatrice, che ha ancora come punti di riferimento abbastanza marcati tradizioni, consuetudini, idee non di carattere global come forse l’ultima generazione ha acquisito di più.


Nell’ottica del maschilismo sembra più probabile e concreto vedere precisi schemi sul ruolo della donna e dell’uomo senza possibilità di mutamento. Nella città può esserci rivalsa; è qui che inizia il percorso di emancipazione, con la possibilità di portare avanti istanze per il raggiungimento dell’agognata uguaglianza sostanziale.


Sentendo però le diverse opinioni di coloro con cui abbiamo chiacchierato, abbiamo trovato una ferma convinzione che maschilismo e mascolinità tossica presentino le proprie criticità in entrambe le dimensioni, senza una così evidente differenza.


Uno degli intervistati sostiene: “Mi sono reso conto che si tratta di un fenomeno che accomuna entrambe le zone. Potrebbero essere fenomeni che vengono ricondotti al grado di istruzione e di apertura mentale della popolazione ma penso ci sia un buon contributo da parte del genere maschile di continuare a perpetrare la propria posizione di “dominio” sul genere femminile e la volontà implicita di non “abdicare” in favore di una reale condizione di parità di genere”.


Non c’è differenza tra piccola o grande comunità, l’unica cosa che permane è questa “ideologia” come viene definita da un altro ragazzo secondo cui nella società: “ci sono dei ruoli fissi, dove si vede un genere essere più propenso a determinate funzioni o addirittura relegato ad una posizione subordinata rispetto all’altro.”


E ancora: “maschilismo e misoginia sono talmente radicati nella nostra società (e nella nostra psiche) che molto spesso non ti accorgi fino a dopo che hai agito in un certo modo o hai detto certe cose”, sottolineando che il radicamento così forte di un’ottica maschilista ci porta anche magari inconsapevolmente a renderci fautori di atti, magari anche apparentemente di poco conto, di matrice maschilista.


In un contesto sociale e culturale di questo tipo, per sradicare un fenomeno distruttivo per gli uomini e la società stessa, è fondamentale attuare l’autocritica per domandarsi e, alle volte, scoprirsi burattini di un sistema che indica quali comportamenti mantenere per poter restare all'interno della propria categoria sociale, indipendentemente da dove ci si colloca o dal proprio grado di istruzione e da quello delle persone che ci circondano. Infine, non può mancare una profonda autoanalisi (anche dolorosa), che ha il compito di farci capire come si è per davvero, quello che si vuole, come ci si vuole comportare; tutte considerazioni fondamentali per poter instaurare un rapporto sano e rispettoso con l’“altro” e migliorare qualsiasi contesto sociale.


 

Autore: Alessandro Mastrosanti & Giorgia Verderio (redazione ALIA)

 
 
 

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