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In vino veritas




Facciamo chiarezza sui nuovi metodi di produzione vinicola


La tradizione vitivinicola in Italia è sicuramente tra le più importanti e riconosciute in Europa, grazie alla varietà dell’ecosistema territoriale che ci offre il Bel Paese.

La nostra penisola produce una vastissima gamma di uve e di vini diversissimi tra loro, sia per sapore, sia per bouquet che per provenienza regionale. È una pratica ultra millenaria, in imperituro dialogo con la storia socio-culturale dello Stato.

In risposta alle crescenti richieste di sostenibilità e al rispetto per i metodi produttivi tradizionali, nel corso degli ultimi anni si è infatti sviluppata una sensibile diversificazione per quanto riguarda le tecniche di produzione vinicole. In questo articolo tratteremo di vini biologici e biodinamici, per arrivare all’ultima novità nel mondo vinicolo: i vini naturali.


Innanzitutto, cosa sono esattamente i vini biologici e biodinamici?

A partire dal 2012 con l’entrata in vigore del regolamento CE 203/2012, si può parlare di vino biologico e non più di vino “proveniente da uve biologiche” grazie alla possibilità di certificare come biologico l’intero processo di vinificazione e di trasformazione delle uve. Un vino si definisce biologico quando proviene da uve 100% biologiche coltivate senza l’utilizzo di agenti chimici di sintesi nei vigneti, mentre in cantina la vinificazione deve avvenire con l’utilizzo limitato di solfiti e di prodotti enologici certificati biologici.

I solfiti sono molecole composte da ossigeno e zolfo; aggiunti al vino hanno il compito di mantenere le sue caratteristiche organolettiche e la qualità nel tempo. La quantità di solfiti aggiunta dipende da molteplici fattori, che spaziano dalla qualità dell'uva alla tipologia di vino prodotto. Nel caso dei vini bianchi, per esempio, essa è maggiore che nei vini rossi, perché questi ultimi sono già naturalmente protetti dalle ossidazioni per l'azione dei tannini, contenuti in quantità nelle bucce delle uve a bacca rossa. La legge obbliga a specificare la presenza di solfiti negli alimenti, incluso il vino, per tutelare i soggetti allergici e anche per evitare che chiunque ne assuma una quantità eccessiva. In particolare, essendo dei vasocostrittori, possono indurre mal di testa. È per questo motivo che ci sono delle limitazioni, proprie di ogni paese di produzione: in Europa i limiti massimi sono di 160mg/l per i vini rossi e di 210mg/l per i vini bianchi e rosati. L’obbligo di specificare la presenza di solfiti in etichetta scatta quando il quantitativo supera i 10mg/l.

Il vino biologico si pone lo scopo di non utilizzare sempre solfiti, creando un prodotto sano che contiene tutte le sostanze utili per la sua conservazione. Ottenere tale certificazione, riconoscibile sulle etichette dal logo comunitario, chiaramente non è così semplice: le aziende sono sottoposte a continui e ferrei controlli da parte degli organismi competenti, i quali attestano l’ottemperanza agli obblighi di legge. Con un consumatore sempre più attento a ciò che consuma e all’impatto che il prodotto può avere sull’ambiente e sull’ecosistema, la domanda per i vini biologici sta salendo e il loro mercato si sta espandendo a vista d’occhio. Suddetta tendenza ha convinto la maggior parte delle cantine a commercializzare il proprio vino servendosi dei canali della grande distribuzione organizzata. Ad oggi il vino biologico è facilmente reperibile sugli scaffali dei supermercati: non è più esclusiva di negozi specializzati o del produttore.


Esperti sommelier e grandi intenditori solitamente non sposano in modo ortodosso né la causa del vino tradizionale o biologico, né di quello biodinamico: la differenza, se ne esiste una sul piano del gusto, si gioca solo in fase di degustazione. Negli ultimi anni però molte aziende produttrici hanno bollato alcuni loro prodotti vitivinicoli come “vino biodinamico” e svariati hanno ottenuto un’ottima risposta da parte di critica e consumatori, entrando nelle classifiche per le loro categorie. Molti fanno notare che si tratta di vini che sono pura espressione del territorio, caratterizzati da una grande vivacità e un colore molto intenso, molto diversi per annata in quanto forte espressione dell’ambiente in cui nascono. Ma che cos'è un vino biodinamico? Per capirlo è importante conoscere prima i concetti fondamentali dell’agricoltura biodinamica.

Nel suddetto campo si utilizzano nella cura della terra i cosiddetti preparati biodinamici, composti di materie naturali e biologiche, per favorire la corretta crescita delle piante preservandone le caratteristiche. Alcuni esempi di composti biodinamici sono i preparati che innescano processi di formazione dell’humus e altri che fungono da stimolatori delle funzioni della luce e del calore. La filosofia che sta alla base della biodinamica è la convinzione che, osservando le influenze astrologiche sulle piante e sul terreno, è possibile ricreare tra di essi la giusta dialettica e far sì che i processi biologici di germogliazione, crescita e maturazione siano in stretta connessione con la natura. Grazie a un occhio attento, si lavora per rimettere queste fasi nella giusta inter-connessione. In vigna, a partire da un uso limitato e rispettoso dei trattori, fino a pratiche di semina di sovesci, e bandendo la chimica dei fitofarmaci, si fa in modo che si ristabiliscano le giuste connessioni fra il cielo ed il terreno. I seguaci dell’agricoltura biodinamica, e chi direttamente la pratica, ritengono che in questo modo le piante esprimano meglio le loro proprietà. Nelle pratiche di cura dei vitigni, invece che combattere le malattie, si cerca di innescare le reazioni giuste che possano ricreare lo stato di salute e di equilibrio, ribaltando la logica dell’agricoltura industriale moderna che utilizza in larga parte antiparassitari, pesticidi, antibiotici. Le fermentazioni stesse sono tutte ottenute senza l'aggiunta di lieviti esterni, ma rigorosamente tramite quelli già presenti sulle uve delle vigne, tra le quali si distinguono per ricchezza quelle su terreni solforosi.

Il metodo biodinamico è stato formulato negli anni ’20 del secolo scorso dall’austriaco Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, la medicina alternativa che studia le leggi che stanno alla base delle manifestazioni della vita, dell’anima e dello spirito nell’uomo e nella natura. Con i metodi biodinamici si raggiungono infatti delle espressioni di maturità della frutta che sono estremamente legate alla mineralità della terra, al clima dell’annata e al timbro varietale della pianta. Questa si esprime nella sua interezza, complessità di aromi e di zuccheri in una forma più completa e profonda di tutte le sue componenti. Il risultato nei vini è un carattere estremamente marcato e dalla grande esperienza gustativa, in genere molto diretta.

Un vino biologico non prende in considerazione tutti questi aspetti. Nell’agricoltura biologica si ritiene la pianta un organismo da nutrire attraverso sali minerali che, seppure abbiano origine organica, rappresentano una forma naturale di agricoltura convenzionale. Ci si dimentica che il nutrimento della pianta è in prevalenza costituito da energia di fonte cosmica e che esiste una stretta relazione fra cosmo e natura. Un vino biologico può certamente essere naturale al 100%, se si intende senza aggiunte o manipolazioni durante la fase di produzione, e segue una normativa specifica. All'inverso, il vino biodinamico ottiene solo la certificazione ufficiosa di settore che è fornita da alcune associazioni, e dal punto di vista alimentare è più ricco per via della connessione con l'ambiente. Energicamente hanno una valenza maggiore, non fatta di semplice composizione chimica.


Come già accennato all’inizio, l’ultimo ingresso sul mercato vinicolo è quello dei vini naturali, che stanno prendendo sempre più piede non solo nelle cantine dei vignaioli ma anche online. Vediamo insieme cosa si intende per vino naturale e perché questo tipo di prodotto sta avendo così tanto successo.

Come per i vini biodinamici anche per quelli naturali non esistono ancora riferimenti legislativi o normativi, pertanto non è possibile fornirne una definizione ufficiale. Ciò nonostante, possiamo fare riferimento alla Analisi integrata delle principali fonti statistiche e amministrative sulla produzione di vino in Italia pubblicata dall’ISTAT nel 2020, all’interno della quale si legge che “la filosofia del vino naturale è concepita perché il prodotto sia ottenuto non utilizzando nessuna delle sostanze ammesse in vinificazione dalle altre metodologie (a parte bassissimi quantitativi di anidride solforosa)”. Dal testo emerge che nella produzione dei vini naturali non sono utilizzati i comuni procedimenti chimico-fisici di cantina per il trattamento dei mosti e dei vini; di contro, i vignaioli che affermano di produrre vino “naturale” implementano processi produttivi “nel rispetto dei cicli della natura e, soprattutto, per favorire l’espressione e la tipicità della zona”.

Nonostante l’assenza di una regolamentazione sulla vinificazione dei vini naturali, possiamo qui riassumerla come una filosofia che cerca di rifarsi alle tecniche artigianali della tradizione senza ricorrere a molti dei metodi e dei trattamenti ormai comuni in ambito industriale.Innanzitutto un vino naturale viene ricavato da uve coltivate in un contesto in cui le caratteristiche dell’ecosistema vengono preservate il più possibile. In altre parole, la manutenzione del vigneto non prevede il ricorso a pesticidi, stabilizzanti, fertilizzanti chimici, additivi (solfiti, lieviti condizionati, correttori di acidità ecc) ed altri prodotti di sintesi, né vengono standardizzati i processi intensivi per la produzione di massa. Nella produzione naturale si parte da uve biologiche di primissima qualità, vendemmiate e controllate a mano (la cosiddetta selezione dei grappoli), sane e prive di muffe: questo evita il proliferare di batteri nelle prime fasi di lavorazione. Stretti controlli igienici, dei tempi e, talvolta, delle temperature, permettono di ottenere una buona fermentazione senza la necessità di aggiungere additivi, fatta eccezione per quantitativi ridotti di anidride solforosa. Si ricorre alla solfitazione solo se le condizioni di sanità delle uve o le analisi del vino prima dell’imbottigliamento non sono nella norma, ma la quantità massima non deve superare i 30 mg per litro.

Si adoperano dunque metodi tradizionali (prevalentemente agricoltura biologica, talvolta biodinamica), assecondando la natura e limitando all’indispensabile l’intervento dell’uomo. Una terra rispettata e fertile produce un’uva vendemmiata sana e ricca di qualità. L’obiettivo è quello di avere un vino dai profumi e dagli aromi unici e che rispecchi ed esprima a pieno il territorio da cui proviene. Questo aspetto viene definito in francese terroir. Sono incluse tutte le caratteristiche che rendono unico un vino, comprese le modalità di coltura in vigna e di vinificazione in cantina. Ad esse si aggiungono: suolo, vitigni e lieviti indigeni. Quest'ultimi vengono trasportati naturalmente dal vento e veicolati dalla fauna viva e sana che popola un vigneto non trattato chimicamente, si depositano sulla buccia dell’uva quando è sulla pianta e durante la pigiatura entrano in contatto con il mosto, iniziandone la fermentazione alcolica e conferendo al vino proprietà organolettiche specifiche e tipiche.


Dopo tutte queste informazioni, una domanda sorge spontanea: i vini naturali sono più buoni degli altri? Non ho trovato una risposta precisa, dipende dal gusto personale. Dal punto di vista organolettico ci sono vini buoni e vini cattivi sia tra i vini naturali che tra quelli convenzionali. A differenza dei secondi, i primi possono presentarsi con un colore più torbido e anche con un sentore considerato sgradevole all'inizio perché insolito, ma ciò non significa che quindi siano a priori meno buoni. I vini naturali in generale possono avere: maggior sapidità, acidità vibrante, sentori leggermente dolci derivati da lievi ossidazioni, tannini ruvidi o aggressivi, sentori più selvaggi. Insomma un aroma particolarmente articolato, imprevedibile e originale, perché ogni vino è un’espressione del territorio e dell’annata senza mediazioni o correzioni che tendano a farlo somigliare al gusto già noto al pubblico. In tutto e per tutto si tratta di vini vivi, che evolvono costantemente, a volte anche in modo inaspettato. Sicuramente dal punto di vista salutistico il prodotto di uve non trattate, biologiche e di alta qualità è più digeribile e più sano rispetto agli altri. Chi produce vino naturale vuole mettere in bottiglia il sole, il vento, l’acqua e la terra che lo hanno prodotto. È la ricerca del gusto originario vinicolo. Non esiste un equilibrio valido per tutti i vini, ma un’identità variabile dipendente da fattori geografici, umani e contestualizzati all’andamento climatico naturale.


 

Autore: Lucrezia Abate




 
 
 

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