L'Attore: Realtà e Finzione
- Accorciamo le distanze
- 22 set 2021
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Riflessioni sul ruolo dell'attore e del teatro all'interno della dimensione della verità effettiva
Fin dall'origine del teatro si è sempre discusso sul ruolo dell'attore e sulla sua veridicità. La premessa intrinseca in questo lavoro è infatti la capacità di far immedesimare le persone. La performance dev'essere non solo assimilata dal pubblico, ma anche da esso condivisa: il giuoco della recitazione rimarrebbe altrimenti sterile. Il teatro nei secoli si è sviluppato nella continua ricerca di un ponte di comunicazione tra il mondo della realtà e quello della finzione: una via privilegiata per attraversare le due dimensioni, un passaggio segreto per sbucare ora da una parte, ora dall'altra.
Nel tempo tale arte ha sviluppato anche un'altra corrente di pensiero, un filone che si intreccia al precedente, talvolta fino a unirsi: il metateatro (o teatro nel teatro). Si tratta di inscenare la performance teatrale stessa, con tutto ciò che ne consegue. A uno sguardo attento però esso è molto di più: l'attore abbraccia la sua condizione di finzione, anzi la rivendica a gran voce. Si accetta la limitatezza delle proprie possibilità e perciò si snodano scene sincere: nulla è nascosto, nulla è falso. In verità, non è neanche vero. Possiamo dire che la vera forza di questo tipo di teatro risiede proprio nel confondere il pubblico, come se non si volesse strappare il velo di Maya di Schopenhauer per scoprire la realtà delle cose, ma ci si divertisse a guardare attraverso gli strappi del tessuto senza più una distinzione tra vero e finto.
Parlando di divertimento, un ramo della corrente metateatrale ha dato un taglio tragicomico a questa indagine psicologica dell'attore. Uno degli esponenti più celebri è Luigi Pirandello, con la sua trilogia metateatrale (Sei personaggi in cerca di autore, Questa sera si recita a soggetto, Ciascuno a suo modo). Lo scrittore esalta l'impossibilità dell'uomo nel ricreare la verità cercando il coinvolgimento del pubblico, che diventa parte dello spettacolo. Irriverentemente, rompere la quarta parete equivale a far entrare un po' di realtà sulla scena. Anche con questo espediente, oltre che al teatro nel teatro in sé, si mostra la finzione degli attori, i quali ora interpretano due persone: se stessi e i loro personaggi. Tale gioco del doppio è motivo di ilarità e al tempo stesso di tristezza: è un continuo alternarsi tra efficacia d'azione e impossibilità di realizzazione. A mio parere, si tratta però di un gioco del triplo: ad attore e personaggio va aggiunto il performer. Quest'ultimo di fatto raggiunge il suo scopo: lo spettatore non riesce più a capire che cosa è vero e cosa non lo è, per cui spesso si illude che la realtà sia quella che ha davanti. Il performer però non è né il personaggio né l'attore, e il fatto che nel metateatro ci si dimentichi sempre più di tale categoria mi induce a pensare che in fondo esso abbia ottenuto il risultato prefissato. In molti riterrebbero scorretta una tale constatazione, ma partire dal preconcetto che teatro e realtà siano per forza due cose irrimediabilmente distinte è sia semplicistico, sia demitizzante e povero di spirito: chiunque deve ammettere che si è perso dentro alla realtà di una scena teatrale, anche solo per un secondo. Come direbbe Pirandello, il principe del mascheramento e dell'illusione: "È meglio avere dubbi che false certezze". È preferibile continuare a porsi domande e vedere che cosa ti offre la vita come risposta, piuttosto che ancorarsi dietro a dei dogmi così pieni di pochezza.
Bisogna anche dire che la corrente metateatrale non è l'unico ambito che si è dedicato all'analisi sul teatro: molte discipline se ne sono interessante, poiché l'alternarsi tra realtà e finzione tocca innumerevoli aspetti dell'essere umano (religione, simbolismo, arte, storia...). La domanda è sempre la stessa: che cosa ci induce a reputare vero qualcosa di falso o finto?
All'interno dell'antropologia culturale, uno studioso ha chiarito il nesso tra teatro e società, illustrando i processi mentali che portano uomini e donne a credere nell'artifizio. Victor Turner ha scritto nel 1982 Dal rito al teatro, un'opera che compie una panoramica dai rituali africani fino al teatro contemporaneo. L'antropologo vuole proprio mettere in relazione i mondi artistici con quelli reali.
Il punto di partenza è il cosiddetto dramma sociale:
"Un dramma sociale si manifesta innanzitutto come rottura di una norma, come infrazione di una regola della morale, della legge, del costume o dell’etichetta in qualche circostanza pubblica. Questa rottura può essere deliberatamente, addirittura calcolatamente premeditata da una persona o da una fazione che vuole mettere in questione o sfidare l’autorità costituita […] o può emergere da uno sfondo di sentimenti appassionati. Una volta comparsa, può difficilmente essere cancellata. In ogni caso, essa produce una crisi crescente, una frattura o una svolta importante nelle relazioni fra i membri di un campo sociale, in cui la pace apparente si tramuta in aperto conflitto e gli antagonismi latenti si fanno visibili. Si prende partito, si formano fazioni, e a meno che il conflitto non possa essere rapidamente confinato in una zona limitata dell’interazione sociale, la rottura ha la tendenza a espandersi e a diffondersi fino a coincidere con qualche divisione fondamentale nel più vasto insieme delle relazioni sociali rilevanti, cui appartengono le fazioni in conflitto."
Il dramma sociale porta a una rottura all'interno della società, per cui un singolo o un gruppo si staccano da essa e creano nuove strutture sociali. Tale processo richiede 4 fasi:
rottura dalla forma sociale vigente;
crisi della propria identità sociale e della società in sé;
compensazione, una specie di riparazione modificata della struttura sociale;
reintegrazione nella società, di nuovo stabile, oppure spaccatura e fuoriuscita dalla società.
Dalla crisi, che può anche verificarsi in forme controllate dalla società stessa, emerge il bisogno di nuove esigenze, le quali vanno a costituire la base per la modifica sociale. Tale fase è volutamente scomposta e priva di certezze, poiché solo dal caos l'essere umano riesce a esaminare nitidamente se stesso e le sue costruzioni sociologiche e antropologiche. Volendo estremizzare: solo con una visione ofuscata di realtà e finzione si può modificare tali concetti.
In questo contesto Turner inserisce la performance teatrale, intesa come un metacommento sulla società: rappresenta "una storia che un gruppo racconta a sé stesso e su se stesso". Il dramma scenico si innesta su quello reale, per cui dal processo sociale implicito si crea una performance visibile, in grado di fornire una struttura retorica implicita atta a definire il dramma sociale esplicito.
Sembra molto complicato, ma in sostanza il teatro mette in scena la società, le sue tendenze, i suoi malumori. Si interpreta qualcosa che tocca le persone, qualcosa che conoscono o che richiama loro il passato. Si fa leva sull'autoriflessione, intrinseca nel pensiero umano, e sulla memoria. A volte la performance aiuta a chiarire tematiche latenti nel pensiero del pubblico o consente un'interpretazione alternativa di un determinato argomento: crea una definizione del reale. Turner pensa che proprio questo meccanismo aiuti a prendere coscienza dell'andamento della società. Per allargare il concetto, l’arte plasma la nostra esistenza e l’esistenza è plasmata dall’arte. Il pensiero suscitato da un’azione conduce a una reazione, a una modifica della nostra realtà. È un sublime circolo vizioso, dove bisogna perdersi per ritrovarsi e migliorarsi.
Sia l'esempio di Turner sia quello di Pirandello illustrano come sia riduttivo vedere separatamente teatro e realtà. Essi sono, anzi, ineffabilmente legati. Viene forse da pensare che sia sbagliato domandarsi dove sia il limite e quale sia davvero il ruolo di un attore: tali interrogativi si basano sul binomio dogmatico vero-falso, ma il teatro, in particolar modo il momento creativo, sembra essere altro. Per questo gli spettatori recepiscono sempre qualcosa da uno spettacolo, per questo il metateatro è efficace e si può parlare del teatro come lettura e analisi della società. Come diceva un attore famoso:
Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso.
(Gigi Proietti)
Autore: Bianca Maria Calvi
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