La corazzata Potëmkin è una figata pazzesca!
- Accorciamo le distanze

- 9 dic 2020
- Tempo di lettura: 7 min

Tutta la verità su questo film così conosciuto e temuto: c'è davvero di che temere? L'opinione comune su di esso si fonda su un altro prodotto cinematografico: cosa c'è di vero in Fantozzi? E perché gli abbiamo creduto?
"La corazzata Potëmkin è una figata pazzesca!": non sono esattamente queste le parole usate dal Fantozzi di Paolo Villaggio, in una celeberrima scena di Il secondo tragico Fantozzi (1976). Semmai il contrario.
L'episodio del film si concentra sulla figura di Riccardelli, il mega-direttore con la passione per il cinema d'arte, che costringe i suoi dipendenti a proiezioni serali di vecchi classici con dibattito finale. La corazzata Potëmkin viene da lui trasmessa di frequente, in quanto ne possiede una copia personale, e tutti gli impiegati finiscono sempre per addormentarsi. Una sera ha luogo una partita di calcio della nazionale, decisiva per le qualificazioni ai mondiali, ma è in programma uno di questi appuntamenti di cinema obbligatori. Fantozzi e i suoi colleghi cercano in tutti i modi di sapere come stia giocando l'Italia, con radioline e rocambolesche fughe in bagno. Riccardelli però è irremovibile e smaschera tutti i loro tentativi. In aggiunta viene proiettata, in mancanza del film programmato, La corazzata Potëmkin, per l'ennesima volta. Fantozzi non regge più queste sevizie e durante il dibattito si ribella. "La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca": bastano queste poche parole e tutti i suoi colleghi lo seguono in una vera e propria sedizione dai caratteri rivoluzionari. La pellicola del film viene bruciata davanti a Riccardelli, che è stato legato e picchiato; per due giorni e due notti è costretto a guardare proiezioni di bassa lega. Al terzo arriva la polizia che riesce a sedare la rivolta solo con i fumogeni. Gli ammutinati sono stati poi costretti a ricreare La corazzata Potëmkin, o almeno la scena della scalinata, per compensare Riccardelli dei danni subiti e della pellicola bruciata. A Fantozzi, come al solito, tocca il ruolo peggiore: il neonato nella carrozzella che cade dalle scale.
La divertente scena che ho appena descritto è molto conosciuta in Italia; credo addirittura che ci siano persone che non hanno mai visto i film di Fantozzi, ma abbiano bene in mente la sua opinione su La corazzata Potëmkin. Quest'ultimo prodotto cinematografico invece, benché famoso, non è stato oggetto di una diffusione capillare, anzi molta gente non sa neanche esattamente di che tratti.
È un film ambientato nel 1905, all'epoca dei primi sentori della Rivoluzione russa. I protagonisti sono un equipaggio della corazzata omonima. I fatti raccontati, in parte realmente accaduti, sono divisi in cinque atti. Nel primo gli uomini della Potëmkin protestano perché il loro cibo è marcio, anche se le autorità lo negano; essi vengono messi di fronte a una scelta: o mangiarlo o venir uccisi. Molti non cedono al ricatto e vengono radunati per essere fucilati. Nel secondo atto i marinai incaricati di sparare ai loro compagni non se la sentono e tutti insieme si rivoltano contro gli ufficiali. Mal armato ma più numeroso, l'equipaggio riesce a prendere il controllo della nave. Nel terzo atto la corazzata arriva al porto di Odessa e i marinai espongono il cadavere di uno di loro come denuncia di ciò che era avvenuto. La gente della città si raduna intorno al corpo e hanno luogo ovazioni e comizi, i quali attirano l'attenzione della polizia zarista. Nel quarto atto le forze dell'ordine iniziano a sterminare tutti i presenti, malgrado nessuno avesse intenzioni bellicose. Tra tutte le morti, particolare enfasi è posta su quelle di una madre, una vecchia e un bambino in carrozzina. L'equipaggio della corazzata allora decide di far fuoco con i cannoni della nave sulla polizia. Nel frattempo arriva la notizia che una flotta zarista sta arrivando per sedare la rivolta. Nel quinto atto la Potëmkin affronta coraggiosamente le navi appena giunte. Inaspettatamente nessuno fa fuoco: i marinai non vogliono colpire dei compagni. Per solidarietà ma anche per esternazione di un malcontento vigente da tempo, lasciano che la corazzata si allontani.
La corazzata Potëmkin è un film del 1925, realizzato da Ejzenštejn in occasione del ventennale dei movimenti rivoluzionari del 1905.
Ejzenštejn è stato uno dei più influenti esponenti del primo cinema sovietico di Stato, sorto dopo la rivoluzione di Ottobre. La scuola russa dell'epoca si basava sul montaggio e sulle sue implicazioni: esso era il fulcro della resa di un film, il trasmettitore di significato, la firma del regista. Il montaggio non era semplicemente una tecnica, ma una forma di rappresentazione: l'energia e il movimento ad esso correlati erano espressione dei cambiamenti politico-culturali di quegli anni. Il cinema doveva rivestire inoltre una funzione didattica nei confronti di una popolazione di fatto ignorante e doveva trasmettere gli ideali del regime.
Ejzenštejn sosteneva che un prodotto cinematografico debba stimolare sensazioni nello spettatore tramite la costruzione delle sequenze: è la sua teoria delle attrazioni. A questa ha in seguito aggiunto il concetto di cine-pugno, portando all'estremo il montaggio: si tratta di colpire lo spettatore, di scioccarlo, con la violenza delle immagini e delle espressioni, ma anche con un'alternanza serrata e improvvisa di scene. Tutti questi espedienti sono stati concepiti perché Ejzenštejn riteneva che un film dovesse trasmettere l'opinione personale del regista. Tale concezione, almeno nei suoi principi di base, era condivisa pienamente dal cinema e dal regime dell'epoca. Per questo forse il successo di La corazzata Potëmkin in patria è stato immediato ed è stato l'unico film della maturità del regista che non sia stato censurato dalla burocrazia sovietica negli anni successivi.
Questa produzione riassume nel modo più compiuto tutto il cinema di Ejzenštejn. Si coglie il pathos sorprendente che incalza lo spettatore: è un continuo susseguirsi di sentimenti di indignazione e di entusiasmo. Il montaggio qui si sviluppa secondo tre modalità: non rispettando la cronologia di un evento, o accostando senza logica due immagini in riferimento a una vicenda, oppure costruendo episodi con un linguaggio concettuale e metaforico. La complessità della struttura del film richiama la dialettica intellettuale di Ejzenštejn, che si fonda su un continuo scontro di opposti. Da una parte c'è il popolo e i marinai, caratterizzati più personalmente tramite piani ravvicinati. Dall'altra ci sono i soldati, ripresi di sbieco e da lontano: sono, così, anonimi. Il contrasto è voluto talmente pronunciato che anche all'interno di una stessa inquadratura si coglie, magari a livello grafico o nei gesti dei personaggi. Si evince come il montaggio dunque "dichiari" la propensione del regista per il popolo che è stato il protagonista della rivoluzione.
Tale concezione di film fatto per la gente comune non è espressa in Fantozzi, anzi Riccardelli lo considera un prodotto di élite. Effettivamente Salce, regista di Il secondo tragico Fantozzi, ha voluto omaggiare il classico sovietico ribaltandone la prospettiva. Qui il cine-pugno ha un effetto ironicamente soporifero: tutti si addormentano durante la proiezione. Quegli eventi rappresentati da Ejzenštejn non trasmettono uno sconvolgimento emotivo, ma stancano e annoiano. Sono talmente estenuanti che provocano una rivolta all'interno della ditta, come una parodia della Rivoluzione russa. Nel piccolo dell'azienda si sono ricreate le stesse dinamiche di rivalsa e volontà di ristabilire una giustizia equa.
Senza conoscere le intenzioni di Salce, il contenuto di Il secondo tragico Fantozzi è stato ritenuto veritiero. Paolo Villaggio nel suo ruolo di ragioniere sfortunato, quasi una maschera da commedia dell'arte, è diventato il fomentatore e poi il portavoce dell'opinione comune su La corazzata Potëmkin. Io stessa, prima di vederlo, credevo fosse un film pesante e datato. La verità è che non lo è più di qualsiasi altro film dell'epoca! Il cinema, come tutte le cose, si basa sul periodo storico-culturale vigente e in tale ottica va visto dai posteri. Di particolare pregio nel capolavoro di Ejzenštejn è appunto la rappresentazione della fierezza del popolo russo che vuole giustizia. Chi ha guardato La corazzata Potëmkin, lo avrà dunque sicuramente apprezzato o perlomeno si sarà reso conto che non è poi così terribile come comunemente si pensa.
Rimane da riflettere sul ruolo che ha avuto Fantozzi in merito all'opinione popolare: perché ha preso così tanto piede? Si può pensare che il genere della commedia sia preferito rispetto al primo cinema sovietico, oppure che negli anni '70 La corazzata Potëmkin non fosse così conosciuta e poi nel tempo non ci sia data pena di verificare le informazioni di Fantozzi. La fama che ha riscosso e ancora riscuote il personaggio di Paolo Villaggio, a mio parere anche legittima, ma di certo non aiuta in questo caso.
Secondo me però tutto è veicolato da una mentalità nociva sempre più preponderante al giorno d'oggi. Molti di noi sono ormai portati a credere nelle asserzioni altrui, senza sincerarsi della loro veridicità. Tale assunto è ancora più seguito se si tratta di un giudizio negativo e specialmente in ambito culturale. "Il cinema dev'essere qualcosa di immediato e semplice: voglio ridere, preferisco non piangere, ma di sicuro non voglio pensare. Non mi ispira mai niente e le novità sono sicuramente peggiori di quello che sembrano; anche se non so di che cosa si stia parlando, già non mi piace. Nel dubbio non ho voglia di sbattermi: dammi qualcosa che conosco e niente roba teorica": questo potrebbe essere il pensiero di molte persone, anche solo a livello inconscio. Vorrei che provassimo tutti a levarci di dosso i pregiudizi e lo snobismo infondato: sono solo zavorra che ci portiamo appresso.
Non dico comunque che tali sensazioni mi siano del tutto estranee né voglio ergermi a intellettuale giudicante. Il mio obiettivo è solo provocatorio: come Ejzenštejn voglio scuotere la coscienza delle persone, o almeno l'amor proprio. Getto una sfida e guardo chi la raccoglie, oppure chi capitola e mi dà ragione. Il fine penso sia comunque dei più nobili: rendere giustizia a un film bellissimo, bistrattato davvero senza coscienza.
Al di là delle mie opinioni e di quelle altrui, esorto comunque a non fidarsi di ciò che si vede su uno schermo. Per quanto ci si possa affannare nel dimostrare il contrario, un film è sempre un artifizio, una storia; anche un documentario subisce la parzialità, perché guardiamo attraverso gli occhi di un regista o di un operatore. È questa la seduzione del cinema: una bella manipolazione della realtà, che va goduta senza riserve, ma con la consapevolezza del sottile inganno intrinseco.
Autore: Bianca Maria Calvi


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