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La persona, la maschera teatrale più complessa


Tutti noi conosciamo le maschere di Arlecchino, Pantalone, Pulcinella, ecc. ma da dove arrivano esattamente? Che storia c’è dietro alla nascita di questo teatro?

E noi, che maschere siamo?


Se in questo momento dovessimo chiudere gli occhi e dovessimo pensare alla parola “TEATRO”, immagino che la maggior parte di noi vedrebbe apparire delle sedie rosse, un palco, le tende del sipario, magari degli attori intenti a recitare qualche scena…

Ma il teatro non è sempre stato così: è un’arte molto antica che ha subìto molte variazioni nel tempo.

Durante il Rinascimento italiano il teatro ebbe un forte cambiamento e si trasformò in qualcosa di nuovo, rivoluzionario e originale: l’attività teatrale divenne professionale, ovvero un vero e proprio mestiere volto a guadagnare del denaro. Per la prima volta nel mondo occidentale abbiamo compagnie di attori professionisti, non più dilettanti: era appena nata la Commedia dell’Arte.


Questo tipo di teatro ha diverse caratteristiche fondamentali. Una di queste, forse la più importante, è che non esistono prove dirette che testimonino la sua esistenza nel passato. A differenza degli altri generi teatrali, dove il testo drammatico è una testimonianza, nella Commedia dell’Arte il copione era mancante in quanto i comici dell’arte non scrivevano le loro battute e non le imparavano a memoria perché procedevano secondo il principio dell’improvvisazione. Non è un caso, infatti, che all’estero fosse chiamata “Commedia all’improvviso” o “Commedia all’italiana”.

Nel suo periodo di vita, la Commedia dell’Arte divenne un teatro molto famoso e richiestissimo, soprattutto all’estero.


Nonostante i testi siano mancanti abbiamo una serie di documenti che testimoniano indirettamente la Commedia dell’Arte. Ad esempio, ne sono stati rinvenuti alcuni di chi accusava questo tipo di teatro (ritenuto troppo grezzo e scurrile), oppure altri riconducibili a testimonianze degli attori stessi, in cui scrivevano dei loro viaggi e della loro condizione.

Un importante documento che risale al 1560 illustra un’altra caratteristica molto importante della Commedia dell’Arte: si tratta di un atto notarile in cui viene espresso che all’interno di una compagnia fa parte anche una donna (tale Lucretia).

Questa testimonianza è fondamentale in quanto per la prima volta nella storia dell’Occidente, grazie alla Commedia dell’Arte, la donna prende parola sulla scena.


Gli attori che facevano parte di questo tipo di teatro erano divisi in compagnie, formate da 10 persone (8 uomini e 2 donne). Le compagnie non avevano un teatro fisso in cui calcare la scena, bensì erano costrette a girare il mondo per potersi esibire ed essere retribuite. I soldi ricavati dagli spettacoli venivano utilizzati per pagare il viaggio e le eventuali malattie contratte durante l’itinerario. Per via di questo continuo spostarsi, la Commedia dell’Arte è oggi considerata un teatro itinerante.

Le compagnie teatrali venivano chiamate da ogni dove per potersi esibire nelle corti o nelle piazze. Nel primo caso il pubblico era su invito quindi educato a questo tipo di arte, nel secondo il pubblico era misto e indisciplinato. Il viaggio per raggiungere la meta dello spettacolo veniva organizzato con delle carovane (tipo le moderne roulotte) in cui gli attori dormivano e facevano delle piccole improvvisazioni per tenersi in allenamento. Insieme alle compagnie, però, viaggiava anche il carro che recava il palco, la scenografia, i costumi, le maschere, i tendaggi e pochi oggetti di scena. Il palco consisteva in un paio di assi di legno praticabili per la recitazione, mentre la scenografia era un semplice pannello dipinto a mano.


La Commedia dell’Arte è un teatro convenzionale (da “Convenire” = concordare tra due o più), perché lo spettatore conviene/accetta quello che succede in scena anche se ciò che sta guardando discorda con la realtà. I forti elementi di convenzionalità erano l’uso delle maschere sui volti e il dialetto. Infatti, nonostante ogni maschera parlasse il proprio dialetto, tra di loro si capivano e riuscivano a mandare avanti la commedia improvvisata.


Indipendentemente dalla compagnia, ciascuna maschera portava sempre lo stesso costume. Come detto prima, nella Commedia dell’Arte non esistevano copioni da seguire ma ogni attore aveva la propria maschera da impersonare, con caratteristiche comportamentali fisse, che non dovevano mai venire a meno in ogni rappresentazione. Non esisteva una storia da mettere in scena, esistevano solo i caratteri delle maschere, che dettavano la piega che doveva prendere lo spettacolo: tutto il resto era improvvisazione. Esisteva il canovaccio: era semplicemente un pezzo di tessuto su cui veniva scritto il titolo della commedia, gli oggetti a disposizione per la rappresentazione e le entrate e le uscite di scena degli attori. Non presentava battute o intere situazioni da inscenare.


I personaggi principali avevano le seguenti caratteristiche:


  • ARLECCHINO (servo): costume attillato a rombi, zampa di lepre attaccata alla cintura, mezza maschera sul volto, neo in fronte e un cappello schiacciato. Questo tipo di maschera nasce a Bergamo e rappresenta il servo sciocco, quello che produce inconvenienti.

  • PANTALONE (vecchio): mezza maschera, naso adunco, sopracciglia vistose e folte, indossa pantaloni rossi e un mantello nero. Inoltre, veste una cintura con appesa una sacchetta contenente del denaro (simbolo di ricchezza). Nasce a Venezia ed è un mercante, di indole non benevola. Ha un figlio o una figlia.

  • IL DOTTORE o BALLANZONE (vecchio): dottore in Legge, panzone, grasso, bonario, benevolo, porta gli abiti della sua condizione (avvocatura): gorgiera di seta bianca, mantello nero corto, cappello e maschera. Ha origine a Bologna.

  • PULCINELLA (schiavo): mezza maschera, casacca lunga bianca, fisico con pancia e gobba, braghe bianche. È di estrazione napoletana. Egli è un servo astuto e malizioso, è laborioso ed è risolutore di nodi intricati.

  • I DUE INNAMORATI: unici attori ad avere il volto scoperto, indossano costumi alla moda del tempo e parlano in fiorentino.

  • IL CAPITANO: è uno sbruffone che millanta uno straordinario coraggio. Essendo invece timoroso è sempre accompagnato da un servo che fa da interlocutore. Egli è un grande viaggiatore ed è una figura di origine spagnola.


La maschera non si poteva MAI cambiare, per tutta la vita restava invariata e invariabile. Inoltre, recitare con la maschera obbligava gli attori ad assumere delle posizioni della testa e del corpo molto particolari, ma sempre le stesse. Il motivo di tali posture è primario: la maschera, essendo sugli occhi, limitava il campo visivo, quindi i movimenti della testa erano accentuati per permettere al recitante di guardare cosa stesse facendo.


I comici dell’arte avevano delle capacità molto riconoscibili: si muovevano come se stessero danzando, non avevano posture naturali ed erano in grado di fare acrobazie con il proprio corpo (in particolare i servi). Soprattutto i maschi erano dotati di una corporatura atletica e muscolosa, capace di sorreggere la complessità delle azioni e delle posture. Infatti, per la regola che la maschera è “per sempre”, fino al 2010, Ferruccio Soleri era il più famoso Arlecchino a recitare al Teatro Piccolo di Milano e all’età di 86 anni si cimentava ancora in capriole e salti, come la sua maschera impone.


Ciò che mi ha spinto a parlare di questo argomento è sicuramente il fascino che scaturisce da codesto tipo di teatro, che vale la pena conoscere. Inoltre, mi affascina l’analogia che esiste tra le modalità di rappresentazione che avevano all’epoca e la nostra idea di vivere il quotidiano. Ognuno di noi infatti conosce persone che, all’interno della propria vita, svolgono dei ruoli molto fissi e hanno delle caratteristiche accentuate. In realtà, tutti indossiamo una maschera in un certo senso: le nostre dinamiche comportamentali si ripropongono sempre, come un circolo vizioso da cui non usciamo mai. L’io interiore, quello vero, non esce spesso e negli anni ci costruiamo un’identità, fedele al nostro essere ma sicuramente costrittiva di quando in quando.

Il rapporto che ci unisce e che ci mette in relazione è invece solo una semplice improvvisazione di discorsi, gesti, modalità di approccio. Non abbiamo certo un copione della nostra vita: non sappiamo che cosa accadrà, chi incontreremo, dove saremo.

È interessante chiedersi se quello che viviamo tutti i giorni è l’improvvisazione di ciò che le maschere attorno a noi ci spingono a fare o se, invece, è solo la nostra maschera a dettare le relazioni e le reazioni, indipendentemente da quelle che indossano gli altri.


“L’uso, comune a tutte le lingue europee, della parola persona per indicare l’individuo umano è, senza saperlo, pertinente: persona significa, infatti, la maschera di un attore, e in verità nessuno si fa vedere com’è; ognuno, invece, porta una maschera e recita una parte.”
(Arthur Schopenhauer)
 

Autore: Alice Corti



 
 
 

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