La politica è meravigliosa, la politica è sporca…
- Accorciamo le distanze
- 25 gen 2023
- Tempo di lettura: 6 min

Uno dei concetti più ricorrenti di quando si parla di politica, e della sua progressiva disaffezione da parte dei cittadini, è quello secondo cui sarebbe tutto un magna magna, per dirla nel gergo più volgarmente qualunquista e opportunista della vox populi, nonché altri aggettivi negativi come noiosa o corrotta, o anche come un teatrino dove sostanzialmente non esistono differenze tra i protagonisti (“sinistra e destra uguali sono!”).
Naturalmente, tolti i giudizi più stupidi e cretini, soprattutto quelli dei maniaci digitali sempre pronti con il prurito sui polpastrelli a sfogare via social le loro frustrazioni o rabbie, almeno alcune delle espressioni sopra elencate hanno una loro ragione d'essere, se facciamo però lo sforzo di contestualizzarle e di inserirle in un discorso più ampio, dove la politica viene trattata nella sua concezione originaria e più genuina.
Prima di tutto è il caso di sgombrare il campo da un equivoco che, sorprendentemente, continua a creare confusione nel linguaggio comune, e cioè quello che equipara la politica all'attività di un partito e al sistema che lo sostiene: la, per molti famigerata, partitocrazia. Ora, lungi da me recitare il de profundis a questo sistema, ma in realtà la politica è, dovrebbe essere, la manifestazione massima di una forma di società in cui diritti e doveri dei cittadini, maggiori livelli di uguaglianza economica, libertà civili, corresponsabilità decisionali e molto altro ancora, trovano una alchimia nella ricerca di perfezione per la loro naturale espressione. E' evidente con ciò che protagonisti non sono quindi soltanto i soggetti organizzati in partito, ma anche tutto il resto della cittadinanza che, nelle più svariate forme organizzative come nei più svariati settori, dovrebbe trovare il modo di esprimere idee, concetti, valori, cultura: la società in tutte le sue forme. Parlare di crisi della politica quindi diventa, secondo queste basi, una cosa più complessa che abbraccia così la nostra quotidianità, la sicurezza economica, gli affetti, la socialità, la salute, l'ambiente, insomma la nostra vita.
E' interessante cogliere, anche alla luce di fatti recentissimi quali ad esempio guerra e pandemia, come le società più avanzate nelle forme moderne di democrazia abbiano un approccio, pur se spesso non sempre giusto, corretto o efficace, certamente più libero e diversificato rispetto ad altri sistemi più autoritari, nel senso che è possibile trovare nelle loro manifestazioni almeno una pluralità di opinioni, nonché una legittima espressione della forma dubitativa o anche contraria rispetto alle decisioni prese a livello di governi centrali, anche se in presenza di disparità di mezzi e strumenti: la democrazia non è una conquista acquisita per sempre, ma ha costante bisogno di essere migliorata, valorizzata e difesa.
Questa caratteristica, basti pensare ai regimi autoritari assai presenti a livello mondiale, come ad esempio Russia, Cina o Iran, dove il dissenso è perseguitato e violentato nelle più odiose e criminali forme di repressione, resta un valore inestimabile per tutti noi, e ciò nonostante poco considerato, come fosse una cosa normale e dovuta per grazia divina.
Esiste un cortocircuito tra ciò che siamo diventati e ciò che dobbiamo continuare a difendere per il bene comune, se la politica viene considerata una cosa negativa a prescindere e soprattutto se ciò diventa pretesto o ragione per assentarci dalle nostre responsabilità come cittadini in un contesto collettivo o, meglio, di comunità fatta da persone pensanti e libere, ma anche empatiche, solidali, responsabili. Certamente non è mia intenzione in questo ambito, tessere sperticati elogi alle democrazie occidentali, alquanto fallaci e profondamente ingiuste in vari aspetti, uno su tutti quello del diritto a un lavoro dignitoso, rispettoso, ben remunerato, sicuro, ma questo è quello che abbiamo, è quello che siamo riusciti a combinare finora, è il livello di conquista o di arretramento, il progresso e lo sviluppo (cos'è l'uno? cos'è l'altro?), la linea di equilibrio di una politica tra reale rappresentanza istituzionale, partecipazione e anche, nonostante tutto, slancio ideale.
Personalmente sono rimasto parecchio impressionato da alcuni fatti molto simili tra loro, di recente cronaca, che si sono manifestati in tutta la loro violenza e gravità: gli assalti di folle impazzite ai luoghi di rappresentanza istituzionale, quali Capitol Hill nel gennaio 2021 a Washington, la sede della CGIL, il più grande sindacato italiano, nella primavera 2022 a Roma, e il Palazzo del Governo a Brasilia nel gennaio 2023. Non sono solo attacchi di marca squadrista, di un'estrema destra ringalluzzita da benevolenze e tolleranze governative, sono la spia evidente di un pericoloso avanzamento di una cultura autoritaria, razzista e misogina, che trova ampio spazio nella propaganda di alcuni messaggi dei mass media, nella politica fatta di “odi di partito” (cit. gucciniana), nel web, nei social network, che sono certamente una conquista di progresso, ma che, come tutte le grandi invenzioni, senza un controllo e un corretto utilizzo può diventare deleteria.
Di contro in altre parti del mondo si lotta fino alle estreme conseguenze per i diritti che per noi sono ovvi ed elementari, seppur non sempre compiuti: libere elezioni, uguaglianza tra i cittadini, giustizia sociale etc. In Iran per questo, dopo mesi di lotta si contano morti a centinaia, migliaia di internati, una repressione feroce contro le piazze, l'orrore della tortura.
Cosa significa tutto questo ragionamento? Credo prima di tutto sia importante considerare, quando si parla di politica, da dove partiamo e quale valore ha una determinata forma di società, il percorso necessario per renderla più libera possibile, gli aspetti di conquista democratica da difendere assolutamente che sono le condizioni primarie per un qualsiasi discorso di progresso civile, in sintonia tra umanità e ambiente. Ecco perchè giudico molto negativamente la sbrigativa e facile definizione della politica come una cosa “sporca”, troppo semplice giustificare così il proprio disinteresse alle sorti di una collettività, troppo opportunista chiamarsi fuori, definirsi essenzialmente nel proprio privato, essere indifferenti, se non quando veniamo personalmente toccati. Mi rendo perfettamente conto che si rischia il “predicozzo”, esprimendo questi concetti, e quindi mi fermo qui, per considerare allora l'altro aspetto del discorso che richiama alla politica: la traduzione pratica, attraverso le forme istituzionali, delle istanze di una cittadinanza.
Nelle società più avanzate, come le democrazie parlamentari, sono i partiti politici la forma organizzata storicamente riconosciuta per rappresentare i cittadini a livello istituzionale; essi, all'interno dei parlamenti, hanno il potere, conferitogli dagli elettori, di legiferare, determinando così l'organizzazione di uno Stato e tutte le dinamiche che ne conseguono, senonchè, perlomeno in Italia e da almeno tre decenni hanno perso la loro capacità attrattiva, e la conseguente partecipazione che ne derivava, nei confronti di ampi strati di cittadinanza. Non solo: nelle recenti elezioni politiche italiane del settembre 2022, oltre il 40% degli aventi diritto non è andato a votare, determinando così un ipotetico e teorico partito di maggioranza relativa.
Le ragioni di tale disaffezione e disinteresse sono molteplici, e in progressiva affermazione da molti anni ormai, quasi una sorta di noia e fastidio nei confronti di un sistema, una sfiducia nelle stesse istituzioni che, paradossalmente, in altre parti del mondo sarebbero accolte come l'avverarsi di un sogno di libertà. Prima di cestinare con faciloneria e pericoloso semplicismo questo sistema come fosse un lusso, e qualcuno già ci prova con gli assalti squadristici, è meglio fermarsi a riflettere sulle conseguenze e su cosa sarebbe utile invece per renderlo più consono ai tempi che viviamo e ai bisogni attuali. E qui, secondo me, entra in gioco la parte ideale, la profondità delle ragioni per cui la politica ritorni ad essere passione civile, senso di appartenenza a una comunità, capacità di spianare le disuguaglianze. Qui, secondo me, ha allora e ancora un senso parlare di sinistra e di destra, identificando nella prima definizione la risposta alle richieste di giustizia sociale, diritti e lavoro per tutti, progresso, più che sviluppo, in equilibrio e rispetto dell'umanità e della natura, mentre nella seconda, parlando ovviamente di una destra rispettosa delle regole democratiche, una concezione più conservatrice, tradizionalista, meno sensibile ai diritti civili, ma importante in una concezione di alternanza.
Seguendo il dibattito nazionale sulle sorti del PD, ancora stordito come un pugile suonato per la batosta elettorale, a volte affiorano banalità sconcertanti e pur, nello stesso tempo, di vitale importanza, come “occorre rapportarsi con il paese reale”, “bisogna parlare con i cittadini”, “recuperare i valori di fondo e le idealità della sinistra”, “stare dalla parte dei lavoratori, dei disoccupati, dei poveri”, “mettere la sostenibilità ambientale al primo posto per qualsiasi programma di sviluppo economico”, e così via: tutti concetti ovviamente condivisibili ma, altrettanto ovviamente, prettamente teorici.
Dal recupero della cultura come massima espressione di libertà, si badi bene non di un'ideologia!, si può considerare veramente la possibilità di un progresso civile, valorizzando la scuola, la ricerca, la sanità, l'arte, il lavoro, l'ambiente. Non è forse questa la bella politica? Non è forse da queste concezioni che ha senso la partecipazione collettiva, il dibattito e la libera circolazione delle idee?
La fragilità dell'essere umano, le nostre miserie e contraddizioni possono amplificarsi in maniera esponenziale traducendosi in atti di corruzione, truffe, ingiustizie, prevaricazioni, anche violenze, dove siamo noi come persone il centro, assolutamente permeabili a questa deriva in assenza di una vera e propria difesa culturale, e qui allora davvero non c'è sinistra o destra che tenga.
Ritornare alla centralità della persona, all'aspetto affettivo, alla solidarietà, al senso della giustizia, come spesso per fortuna avviene in ampi strati di associazioni e movimenti della società civile e del volontariato, che sono un'altro aspetto quasi sempre positivo della politica, può forse aiutare anche i partiti ad essere più credibili e magari dare alla politica stessa un valore nuovo, o forse recuperare quello originario.
Autore: Carlo Calvi
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