La rivoluzione ontogenetica
- Accorciamo le distanze
- 5 ago 2020
- Tempo di lettura: 3 min

Una curiosità che ci riguarda da vicino in merito a un aspetto, poco conosciuto, dell’evoluzione: i tempi di gestazione umani, tanto discordanti rispetto a quelli degli altri mammiferi.
Vi siete mai chiesti perché un cavallo appena nato riesce subito a camminare, mentre un neonato no? Una risposta c'è e a darcela è l'evoluzione, ma iniziamo dal principio... e non è un modo di dire.
Tutti sappiamo che il punto di svolta per l'uomo è stato la distinzione dalle scimmie. Tra le tante differenze che esistono tra le due categorie, due ci interessano in modo particolare: la forma del cranio e la comparsa del bipedismo.
Noi abbiamo sviluppato la capacità di camminare solo con le gambe durante l'era preistorica e ciò ha modificato il nostro corpo: il bacino si è rimpicciolito e abbiamo ottenuto una postura eretta grazie all'allineamento di bacino, colonna vertebrale e testa.
Il cranio si è ingrandito man mano che si sviluppava il genere Homo, di cui facciamo parte, ma il volto si è appiattito proprio per permetterci di stare in piedi: se avessimo ancora fronte e dentatura scimmiesche, cammineremmo sbilanciati in avanti per non cadere.
Il bipedismo ci ha permesso di essere ciò che siamo ora: le nostre braccia e le nostre mani hanno potuto svilupparsi per abilità e capacità specifiche. Se camminassimo ancora su quattro zampe, non avremmo mai costruito una casa, suonato uno strumento, dipinto un quadro...
Cambiare postura ha però modificato anche il canale del parto: ora è più piccolo e stretto rispetto a quello dei nostri antenati scimmieschi. Noi siamo sempre riusciti a mettere al mondo dei bambini senza mai cambiare il modo di farlo: come è possibile che siamo diventati così diversi ma il parto sia sempre uguale? Non lo è in realtà. Gli esseri umani partoriscono in anticipo!
Sembra assurdo ma è la verità, anzi se ci si pensa bene è addirittura ovvio: noi siamo mammiferi e come tali dovremmo nascere già con la capacità di camminare e parlare. Non è così.
Dopo la nascita un neonato impiega invece circa un anno per sviluppare un cranio duro e le capacità motorie e mentali di base. Facendo due conti una mamma dovrebbe allora partorire il suo bambino dopo 18 mesi per seguire l'esempio degli altri mammiferi. Perché non succede?
Perché non riusciremmo a farlo nascere. Il canale del parto sarebbe troppo piccolo per far uscire il neonato, che non avrebbe più il cranio molle per via delle fontanelle.
Detta così sembra una strada senza via d'uscita, ma è qui che entra in gioco la cosiddetta rivoluzione ontogenetica. Il termine “rivoluzione” già ispira novità per definizione. “Ontogenetica” invece è una parola che deriva dal greco antico e significa grossomodo “ciò che è realmente la specie”: ciò che definisce la nostra specie, che la rende diversa dalle altre.
In cosa consiste però questa rivoluzione? È presto detto! L'uomo partorisce in anticipo e lo sviluppo del bambino si completa entro un anno dalla sua nascita. In questo modo otteniamo tutto: nascita e facoltà fisiche e mentali, ma anche bipedismo.
Analizzando meglio la situazione si può addirittura cogliere dei vantaggi dalla rivoluzione ontogenetica. Tutto il genere Homo è caratterizzato da un processo sempre più complesso di encefalizzazione, ossia di creazione e crescita dell'encefalo.
L'encefalo è l'insieme di cervello, cervelletto e midollo allungato, che collega i primi due organi con la colonna vertebrale: in poche parole è il sistema nervoso centrale.
Man a mano che si è sviluppato l'encefalo, il cranio si è ingrandito per fargli spazio: tutto questo processo ha avuto bisogno di più tempo per crescere e svilupparsi. Tempo che non è andato sprecato: è servito per imparare di più e per trasmettere più informazioni e abilità alla generazione successiva.
Più cose abbiamo imparato, più è stato facile adattarsi a tutti gli ambienti e avere comportamenti e culture complesse. Il massimo di questo processo ovviamente siamo noi, la specie Homo Sapiens. Non è certo un caso che l'uomo sia in grado di vivere ovunque: dal deserto all'Antartide, dalla foresta amazzonica alle metropoli. Nessun'altra specie lo sa fare.
L'adattamento e lo sviluppo di abilità nell'uomo però non si sono certo fermate alla Preistoria: l'evoluzione per definizione non si ferma mai. Di generazione in generazione ci troviamo di fronte a una versione migliore della precedente. A questo punto una domanda sorge spontanea: come saranno gli uomini del futuro? Cosa potranno fare? Direi che dovremo aspettare e vedere. È solo questione di tempo.
Autore: Bianca Maria Calvi
Yorumlar