La scuola, i giovani e la pandemia
- Accorciamo le distanze

- 16 dic 2020
- Tempo di lettura: 6 min

Ogni generazione ha la responsabilità di vivere da protagonista il proprio momento storico.
La pandemia che affligge il mondo, ormai da dieci mesi, ha sconvolto le nostre vite, la quotidianità, i ritmi, le relazioni, i riferimenti, le sicurezze. Sembra quasi banale dire queste cose, dopo un periodo, purtroppo ancora lungi dal terminare, che ci sembra intensissimo per la moltitudine di situazioni e di atteggiamenti che abbiamo dovuto cambiare in poco tempo, per le nuove problematiche che ci troviamo ad affrontare, ma anche nuove paure o ansie, e, soprattutto, nuove responsabilità.
In un contesto così complesso come quello attuale, la confusione e l'incertezza regnano sovrane ed è interessante cogliere un aspetto apparso in tutta evidenza: l'ego smisurato di buona parte del mondo della Scienza. Infettivologi, virologi, vari luminari della Medicina, non tutti per fortuna ma comunque una discreta parte, si sono cimentati in veri e propri duelli, tra social, televisioni, giornali e mass media vari, a dirsi chi è più bravo. Eravamo abituati a considerare i politici come una classe poco affidabile, anche se a volte anche questo è un luogo comune, e la novità ci ha un po' spiazzati: forse sarebbe più utile ragionare per quello che sappiamo e, soprattutto se è scomoda, raccontare la realtà che conosciamo.
Detto questo, gli sconvolgimenti di cui sopra, riguardanti le nostre abitudini, hanno colpito in modo molto pesante il mondo della Cultura e, conseguentemente, quello della Scuola, in particolare per i soggetti dall'età adolescenziale a quella adulta, oltre ovviamente a tutti i lavoratori del settore.
Prima di entrare nell'argomento, una critica alle misure in atto, senza insegnare niente a nessuno e pronto a ricredermi: perchè chiudere musei, teatri e cinema e lasciare aperte, lo dico da credente, le chiese? I luoghi chiusi sono quelli più sicuri se gestiti con delle regole (posti contingentati, sanificazione, controlli, selezioni) e oltretutto, nello specifico, parliamo di ambienti frequentabili essenzialmente previo pagamento di biglietto di ingresso, a differenza di un qualsiasi luogo di culto....
L'argomento centrale però riguarda, in questo scritto, il particolare mondo della Scuola e l'atteggiamento delle fasce giovanili, che ne sono parte integrante, ma anche la visione che ne deriva in un contesto storico straordinario come quello attuale.
Questo mondo è talmente importante e complesso da indurmi, prudentemente e saggiamente, a non emettere giudizi e considerazioni varie sulla sua gestione: sarebbe una stupida e inutile intromissione in un ambito di tale varietà e molteplicità di problematiche.
Il ragionamento che vorrei fare è sulle reazioni, o non reazioni, che si sono succedute in questo anno orribile, in particolare riguardanti l'ambito giovanile. Il rischio di cadere, da parte mia, nel paternalismo o, peggio, nel moralismo, è ovviamente altissimo. Il crinale su cui cammino è parecchio stretto, l'argomento è delicato, l'impopolarità dietro l'angolo, conscio come sono che i lettori di questo Blog, su cui qualche volta ho l'onore di essere chiamato a scrivere, hanno quasi tutti un'età, per me ultrasessantenne, come fossero miei figli o nipoti.
Diciamola subito: non ho fatto salti di gioia nel vedere le proteste degli studenti, o dei loro rappresentanti, contro la scelta dell'insegnamento a distanza; ho salutato affettuosamente le manifestazioni di alcuni di loro, con sit-in e cartelli vari, per il rientro “in presenza”, ma, pur nobili, non le condivido appieno in questo momento.
Ed è proprio quello di comprendere il momento, di assoluto valore storico, la ragione del contendere.
Per l'eccezionalità del periodo attuale qualcuno ha fatto paragoni con quello della guerra, probabilmente un po' forzato ma indubbiamente con degli aspetti comuni: il considerevole numero di morti, le nuove povertà, la disoccupazione, le incertezze, le restrizioni, il linguaggio (il coprifuoco!), la carenza o la mancanza dei servizi.
Non c'è dubbio che anche le difficoltà di relazione, per ovvi motivi, abbiano avuto un aumento esponenziale tale da creare nuove solitudini e da rendere faticosa l'elaborazione di qualsiasi progetto di vita, a lungo, a medio ma anche a breve termine. In questo contesto io penso sia necessario per le generazioni più giovani fare un salto di qualità nella loro presenza da protagonisti di un cambiamento in progresso del nostro sistema di vita, oltre le comprensibili lamentele per la Scuola. Intanto anche su questo mi sembra si possa dire una cosa, credo incontestabile: con il metodo “a distanza” nel sistema digitale la Scuola non si è fermata, eccetto alcune parti del Paese, argomento quest'ultimo semmai bisognoso di attenzione, e si è così potuto continuare la didattica (certo che non è la stessa cosa, ma quante, ora, non lo sono?). Nella Storia è bene anche fare dei paragoni e, senza andare troppo distanti, parlando delle persone oggi sui 35-40 anni, e quindi in età scolare e universitaria all'inizio di questo secolo, sarebbe sato possibile per loro questa soluzione per gli stessi problemi? Come ci saremmo mossi tutti se la pandemia fosse arrivata vent'anni fa? Probabilmente ci sarebbe stato davvero il blocco delle lezioni.
E ancora, si dice che non è solo la didattica, ma soprattutto le relazioni, i rapporti umani e d'amicizia ad essere mortificati e questo è un aspetto che ci deve far riflettere: in quanti abbiamo accettato acriticamente in questi anni, e qui mettiamoci un po' tutti, l'uso indiscriminato dei social, il telefonino sempre più sofisticato, il tempo sempre più limitato appunto per le relazioni, mentre oggi ci accorgiamo, come spesso succede quando una cosa viene a mancare, della loro importanza?
La provocazione che provo a fare ai giovani studenti di oggi parte anche da una riflessione di tipo storico: ogni generazione ha dovuto vivere situazioni di difficoltà ed è stata chiamata a prendersi in mano il proprio futuro. Certo non tutti i momenti sono stati di eguale gravità, e meno male, ma proprio per questo serve un metro di paragone e una connessione ideale con chi ci ha preceduto, e serve porsi in un'ottica di sviluppo futuro, con chi invece verrà dopo di noi.
Mi si perdonino gli esempi che vado a fare ma così, di getto, mi vengono. Pensiamo ai “ragazzi del '99 “, quelli chiamati al massacro nell'ultimo periodo della prima guerra mondiale, al sacrificio incomprensibile e ingiustificabile cui furono costretti. Pensiamo ai giovani, ragazzi e ragazze degli anni venti e trenta del novecento, privati della libertà nel pieno della vita, dal regime fascista. Pensiamo ai giovanissimi eroi della Resistenza, periti per la libertà che oggi godiamo. Alle ragazze vittime di stupro di guerra, e non solo. Alle giovani donne, protagoniste del riscatto femminile. A quelli costretti al lavoro di fabbrica o di cantiere in età scolastica. A chi, giovanissimo, si è battuto per diritti di cui oggi noi beneficiamo.
Non sono solo esempi tragici ma, invece, sono soprattutto elementi di riflessione per cogliere il significato del senso di responsabilità, di cosa vuol dire prendersi in mano il proprio domani.
Non sono tra quelli che amano fare “la predica” o la morale ai più giovani, non amavo, a suo tempo, questo atteggiamento nei miei confronti, e spero (ditemelo per favore se non è così!) di non esserne anch'io vittima, ma queste parole vogliono essere un atto d'amore nei loro confronti perché, lo so, c'è un mondo nei loro cuori in ebollizione, c'è molta determinazione e molta speranza nei loro sguardi. Non credere nei giovani è, oltre che sciocco, anche stupido perché significa non credere in sé stessi, pensare a un mondo di certezze assolute, quelle raggiunte da noi, come fossero blocchi di granito, montagne insormontabili, traguardi inavvicinabili. Invece no, proprio la mia generazione ha contribuito colpevolmente, oltre ai meriti, nella sua maggioranza a permettere uno sviluppo incontrollato, una devastazione della Natura e degli ecosistemi che oggi ci chiede il conto, pone il dramma dei cambiamenti climatici come il vero problema planetario e le scelte di oggi come, letteralmente, possibilità di vita futura degna di chiamarsi tale.
E non è un caso che proprio i giovani, per il loro futuro ma anche per quello di chi verrà dopo di loro, ed ecco qui il richiamo all'esempio virtuoso delle generazioni passate, hanno posto questo tema con le battaglie per cui si sono resi recentemente protagonisti a livello globale, con la meravigliosa immagine reale e simbolica di Greta Thunberg.
E non è un caso che, come affermato ufficialmente proprio in questi giorni dall'Associazione dei virologi italiani, curiosamente quelli che non vanno in televisione, la devastazione degli ecosistemi è la ragione principale della nascita e della diffusione dei virus, coniugando perfettamente così le lotte e le ragioni giovanili sui cambiamenti climatici con la tematica della salute, ma anche della responsabilità di tutti noi.
E proprio perché la pandemia stravolge vita e valori che, tra le difficoltà, diventa anche occasione di ripensamento, dona ai giovani in particolare la possibilità di riconsiderare, di fronte alla tragedia, che cosa è veramente importante, quale senso dare al consumo, come impiegare le proprie intelligenze.
Ed è per questo che, se proprio dovremo chiamarla “Generazione Covid”, non sarà solo per la denuncia delle privazioni ma, soprattutto, per il riscatto.
Autore: Carlo Calvi (presidente CAS)


Articolo bellissimo