Le Bioplastiche
- Accorciamo le distanze
- 27 lug 2022
- Tempo di lettura: 4 min

Alcune informazioni sulla loro origine e smaltimento
Ridurre l’utilizzo e consumo di plastica e derivati del petrolio è una sfida che sta coinvolgendo tanti settori; basti dire che questo materiale a partire dalla seconda metà del secolo scorso ha monopolizzato qualsiasi produzione industriale per la sua versatilità e garanzia di sterilità. Disfarsene perciò non è un’impresa da poco e la ricerca si concentra sul trovare dei validi sostituti e nel contempo rendere la plastica il più possibile riutilizzabile e riciclabile.
Nel tentativo di trovare materiali alternativi alle plastiche tradizionali sono stati sviluppati i biopolimeri.
Un polimero in chimica è una macromolecola costituita da tante unità (monomeri) ripetute. Nel caso quest'ultime siano identiche si parla di omopolimero, altrimenti di eteropolimero. Con il termine biopolimeri si indica dunque una classe di omopolimeri biodegradabili, o derivanti da fonti rinnovabili, o entrambi.
La biodegradabilità è la capacità di sostanze e materiali organici di essere degradati in sostanze più semplici mediante l’attività enzimatica di microrganismi. La compostabilità, termine con cui a volte essa viene confusa, è invece la capacità di un materiale di trasformarsi in compost, ovvero terriccio che può essere utilizzato come fertilizzante. Questo stato può essere raggiunto in determinate condizioni e tempistiche all’interno degli impianti di compostaggio, sempre a seguito della degradazione operata da microrganismi in condizioni aerobiche. Un materiale compostabile sarà perciò sicuramente biodegradabile ma non è vero il contrario, perché non tutte le sostanze riescono ad essere deteriorate fino allo stato di compost.
Tra i biopolimeri compostabili più diffusi troviamo il PLA e il mater-bi.
Il PLA (acido polilattico o polilattato) è un poliestere ottenuto da fonti rinnovabili. Le sue unità fondamentali di acido lattico, che si ripetono andando a formare il polimero di acido polilattico, si ottengono tramite fermentazione o sintesi chimica a partire da zuccheri quali quelli nel mais, nella barbabietola e nella melassa di canna. Il PLA oltre ad avere un processo produttivo vantaggioso, poiché costituisce un ciclo chiuso, in cui le sostanze prodotte (CO2 compresa) vengono consumate per far ripartire il ciclo (Fig.1), presenta anche ottime caratteristiche meccaniche, che lo rendono un buon sostituto del PET soprattutto per il confezionamento. Esso tuttavia è poco resistente alle alte temperature e agli stress. Nuovi processi, che prevedono l’utilizzo di fibre e nanofillers rinforzanti, si stanno dunque sviluppando per rendere questo polimero sempre più maneggevole e versatile.

Il mater-bi consiste in una famiglia di polimeri sviluppati dall’azienda italiana Novamont a partire dagli anni 90. Ha origine dall’amido di mais, un polimero costituito da unità di glucosio, molto abbondante negli scarti della lavorazione del mais ma anche delle patate. Si presenta in granuli e viene poi sottoposto a lavorazione ed eventualmente addizionato con altri polimeri sintetici. È ampiamente utilizzato per la produzione di sacchetti della spesa e dei rifiuti, ma più di recente ha trovato applicazione anche nel settore alimentare per confezioni e stoviglie usa e getta. Anch’esso è un materiale compostabile e ha un processo di lavorazione e smaltimento sostenibile: la CO2 emessa viene riassorbita durante il processo di crescita delle piante dalle quali si estrarrà l’amido che darà origine al mater-bi.
Queste plastiche di nuova generazione vengono quindi smaltite direttamente nell’organico, ma quali mezzi permettono invece di raccogliere e riciclare le plastiche tradizionali? Oltre alla raccolta differenziata in molti comuni si sta adottando una raccolta selettiva, soprattutto del PET.
Il PET (polietilene tereftalato) è una plastica, che diversamente dalle precedenti ha origine dal petrolio o dal gas metano, impiegata specialmente negli imballaggi e per la produzione di bottiglie per bevande. La sintesi di tale materiale da nuovo è abbastanza dispendiosa in termini energetici, tuttavia il PET continua a essere impiegato perché è riciclabile al 100% senza perdere le sue proprietà e può quindi essere recuperato e ritrasformato all’infinito.
Il PET riciclato può dare vita a diversi oggetti per uso non alimentare, ma la vera svolta è avvenuta a gennaio 2021 quando è stata approvata la nuova legge di bilancio che permette di produrre bottiglie interamente costituite da PET riciclato. Tuttavia, per garantire la sicurezza di questi prodotti, solo PET già utilizzato per scopi alimentari può essere raccolto e ritrasformato in nuove bottiglie. Da qui l’esigenza di incrementare e ottimizzare la raccolta del suddetto materiale in maniera selettiva attraverso strumenti appositi come gli ecocompattatori. Tali macchinari comprimono le bottiglie riducendone il volume e permettendo una raccolta in grandi quantità. Molti di loro possiedono inoltre un sistema di riconoscimento del "PET alimentare”, evitando che questo venga mischiato con PET inadatto e garantendo quindi che l’intera raccolta venga interamente destinata alla produzione di nuove bottiglie. Sempre più di frequente si trovano all’uscita dai supermercati e disseminati all’interno delle aree urbane per incentivare i cittadini al loro utilizzo. Il messaggio è: "Non lasciamo che alcuna bottiglia vada sprecata come rifiuto indifferenziato"!
Come questi esempi dimostrano, il futuro punta a sostenere un modello di economia circolare che azzeri gli impatti ambientali, consumando e riutilizzando tutto ciò che in precedenza è stato prodotto e diventando sempre più indipendenti dalle fonti fossili.
Autore: Elisa Fusi
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