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Moda Sostenibile


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Tra nuove tecnologie e iniziativa personale


Ad oggi non esiste una definizione puntuale di moda sostenibile, ma con questa terminologia si intende indicare una varietà di mezzi e comportamenti attraverso cui un capo o un accessorio può essere prodotto, venduto, scambiato in una modalità considerata sostenibile. Perciò questa definizione comprende tutte le pratiche attente all’impatto ambientale e sociale della moda, includendo le buone norme produttive, ma anche le iniziative di riciclo e anti-consumo e i prodotti realizzati con materiali alternativi, senza l’impiego di derivati animali.


L’ultimo rapporto pubblicato dal parlamento europeo riguardo la produzione tessile e i suoi rifiuti, ha evidenziato i notevoli danni ambientali che la fast fashion -che consente un’usa e getta degli indumenti a seguito dei prezzi ridotti- ha causato. Si è calcolato che nel 2015 sono stati raggiunti i 79 miliardi di m3 d’acqua consumati per la produzione di nuovi indumenti, e che circa il 35% delle microplastiche rilasciate nell’ambiente derivano dal lavaggio dei capi sintetici. A questi dati si aggiunge un valore ancora più preoccupante relativo all’emissione di gas serra nell’atmosfera, a cui l’industria tessile contribuisce per il 10% del totale, oltre a uno scarso riciclo delle materie prime quando i vestiti vengono smaltiti. È per questo che la moda sostenibile è stata promossa anche dall’unione europea, soprattutto in termini di economia circolare, per favorire il riciclo delle materie prime e avvantaggiare i processi di produzione a ciclo, che riducono al minimo gli scarti.


Quando si parla di moda sostenibile ci si riferisce spesso ad interventi sulla supply chain, o catena di approvvigionamento, che caratterizza un prodotto dalla sua nascita fino alla consegna al cliente.


In primo luogo, si può agire sulle materie prime utilizzate. Si cerca di prediligere fibre organiche derivate da fonti rinnovabili (come il cotone, il lino, la cellulosa), limitando l’impiego delle fibre sintetiche (come poliestere e nylon) che vengono prodotte per via chimica e hanno il grosso svantaggio di non essere biodegradabili. Al contempo, al pari di quelle organiche, anche le fibre sintetiche possono essere riciclate e riutilizzate per la fabbricazione di nuovi indumenti, evitando il loro rilascio nell’ambiente e riducendo il consumo di reagenti, acqua ed energia per la loro sintesi. Inoltre, prima di passare al processo di filatura dei capi, le fibre, soprattutto quelle organiche, vengono trattate con agenti chimici e alte temperature. Una nuova frontiera per ridurre l’impatto ambientale di questo passaggio è costituita dall’impiego di enzimi, ovvero proteine in grado di catalizzare le stesse reazioni operate dagli agenti chimici ma a più basse temperature e con un minor rilascio di sostanze tossiche. I processi in cui componenti biologici si sostituiscono ai classici reagenti chimici sono sempre più frequenti, soprattutto nell’industria del fashion, e nuovi materiali bio-based -prodotti a partire da microrganismi che come le piante rappresentano una fonte rinnovabile- stanno prendendo sempre più piede.


Infine, molte case di moda stanno agendo anche sul trasporto delle merci, preferendo il treno agli aerei, sostituendo i veicoli più vecchi, a maggiore emissione, con nuovi mezzi e utilizzando software che valutino costantemente gli impatti ambientali.


Come già precedentemente sottolineato, la moda sostenibile non è solo attenta all’ambiente, ma anche alla tutela della salute e del benessere dei suoi lavoratori. Le industrie che perciò offrono contratti equi, salari giusti e che prevengono qualsiasi forma di sfruttamento -fenomeno diffuso nei paesi in cui avviene buona parte della produzione tessile- sono in egual modo ritenuti promotrici di questo nuovo modo di concepire la moda.


Anche il singolo individuo può farsi partecipe di questa nuova tendenza, che si può riassumere nel motto: rindossa, riusa, ricicla. Quindi è bene cercare di evitare lo shopping compulsivo, ma acquistare al bisogno prodotti di qualità che possano durare nel tempo ed essere rindossati. Diamo nuova vita a ciò che non usiamo più, cercando soluzioni alternative per riutilizzare i tessuti oppure modificando i capi che abbiamo per rinnovarli. Infine, quando decidiamo di eliminare definitivamente un capo dal nostro guardaroba, donarlo o rivenderlo sono le alternative migliori, oppure smaltirlo appositamente, affinché buona parte di esso possa essere riciclata.


Molti negozi, anche nelle grosse catene, si stanno attrezzando per raccogliere i vestiti usati in base al materiale; i capi più semplici come magliette o jeans, che sono anche quelli di più largo consumo, sono i più facili da riciclare, al confronto di cappotti e scarpe per i quali i sistemi di riciclo non sono ancora abbastanza avanzati. Nella compera dei nuovi articoli, anche la vendita online può essere vantaggiosa: non solo permette lo scambio e la facile rivendita dei prodotti, ma rende visibili anche realtà poco conosciute, che si impegnano nella realizzazione di vestiario attraverso materiali alternativi. Ormai anche i marchi più famosi hanno creato intere linee di capi più sostenibili, che sono perlopiù vendute online e facilmente selezionabili attraverso l’utilizzo di filtri (ex. “green”, “sostenibile”…), senza doversi perdere tra le pile di prodotti venduti in negozio.


Uno degli obiettivi europei entro il 2025 è quello di garantire la raccolta differenziata del tessile in tutti i paesi dell’unione. Questo richiederà uno sforzo da parte non solo delle istituzioni e delle industrie, ma anche dei singoli cittadini, che dovranno prestare più attenzione quando rinnoveranno il loro guardaroba.

Si può concludere che la moda sostenibile interessa tutte le parti, sia i produttori che i consumatori: tutti possiamo contribuire a questa nuova tendenza.


Autore: Elisa Fusi


 
 
 

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