Prove tecniche per la rivoluzione che verrà
- Accorciamo le distanze

- 14 lug 2021
- Tempo di lettura: 7 min

Generazioni culturali, convergenze dal basso e pratiche di comunità
Nel 2015 usciva questo articolo di Gustavo Tanaka che elencava con entusiasmo una serie di motivi per cui, secondo l’autore, il mondo stava cambiando in meglio anche se in maniera quasi impercettibile. Per quanto ci siano tutti i presupposti per guardare all’avvenire in chiave critico-pessimista, nelle righe che seguono proverò a porre l’attenzione sui processi in corso all’interno di diversi movimenti locali e nazionali per ricordarci che stiamo facendo tutto il possibile e che è normale essere fisicamente e psicologicamente stanchi; anzi, e a maggior ragione, che imparare a riconoscere i nostri limiti è il primo fondamentale atto rivoluzionario che ci permetterebbe di uscire dalla logica di iperproduzione in cui siamo immersi fino al collo, migliorando alla radice la nostra quotidianità e, di conseguenza, minando alla base il sistema capitalista in cui conviviamo ogni giorno. Senza per questo smettere di agitarci e di sostenerci a vicenda per conservare i nostri sacrosanti diritti e estenderli a chi ancora non li ha. Differenze a confronto Voglio iniziare ponendo dei confini temporali: c’è un prima, c’è un durante e ci sarà un dopo. Prima della pandemia, intendo molto prima della pandemia, già si intravedevano le avvisaglie di una divisione tra i cosiddetti boomer e la cosiddetta Generazione Z. Prendiamo ad esempio, come fattore di clusterizzazione, due ambiti: tecnologia e world wide web. A partire soprattutto dalla seconda metà degli anni 2000, l’accelerazione in questi campi ha generato una forte disparità tra chi era in grado di utilizzare le nuove tecnologie e chi non ne aveva la necessità, la possibilità o la voglia. Mi riferisco sicuramente alle persone di età superiore ai 45 anni, in generale senza motivi particolari per interessarsi ai nuovi strumenti e, non secondariamente, all’avvento dei social network. Ma non è solo una questione anagrafica: ricordiamoci che è solo l’ultimo decennio quello in cui, a prescindere dall’anno di nascita, stiamo comprendendo il funzionamento piattaforme come Facebook, Instagram, Twitter, Twitch, TikTok, come usarle in modo costruttivo e quali effetti hanno sulla nostra società e su noi stessi. C’è chi potrebbe vedere questo lasso di tempo come un immenso processo di learning by doing sociale. Il secondo parametro che voglio prendere in esame è legato al mondo dell’istruzione: la maggiore accessibilità alle informazioni, grazie all’estrema diffusione di internet attraverso l’onnipresenza di dispositivi di accesso alla rete, ha reso una buona parte del modello formativo sempre più obsoleto. Ciò ha creato una discrepanza tra chi ha messo a frutto le nuove opportunità di auto-formazione per accrescere le proprie capacità e l’evoluzione dell’importanza delle stesse (vedi, per esempio, le Soft Skill), e chi è rimasto ancorato ad un bagaglio di conoscenze e competenze che non hanno saputo svilupparsi alla medesima velocità dei mezzi tecnologici e della condivisione dei Saperi. Combinando device via via più invasivi e prestanti, un gap generazionale relativo al possesso e al tempo di utilizzo, un’ignoranza diffusa sulla modalità d’uso dei social network, un “buon” livello generale di analfabetismo funzionale intergenerazionale e il fenomeno attraverso cui Umberto Eco descriveva il rapporto tra “imbecillità” e risonanza delle opinioni personali, è normale oggi ci sia molta confusione rispetto alla direzione verso la quale ci stiamo muovendo come società. A tutto questo, non dimentichiamolo, vanno aggiunti il macro-contesto mondiale (la pandemia ha sicuramente mostrato tratti tossici del nostro vivere comune sulla Terra prima non così visibili ma comunque presenti) e il micro-contesto individuale (ognuno di noi vive ogni giorno battaglie personali che rendono la vita stessa non facile da affrontare) entro cui ci muoviamo. Al netto di queste considerazioni, internet, la grande diffusione della tecnologia smart e i social network hanno reso sempre più semplice scambiarsi in tutto il mondo ricerche, tesi, idee e - paradossalmente - palesato la rete di relazioni che ci unisce. Molte delle lotte che proseguono da decenni (antirazzismo, antisessimo, diritti LGBTQUIA+, sfruttamento lavorativo, per citare qualche esempio concreto) hanno ampliato la loro portata ed il loro impatto proprio grazie alle nuove tecnologie. Pare - ma lo dico a bassa voce - vengano favorite convergenze e discussioni spazialmente distanti: lo si è visto bene lo scorso autunno quando, al grido di “reddito, salute, istruzione!”, ci sono state mobilitazioni spontanee in tutta Italia a cui sono seguite (anche più di recente ma in continuum narrativo) quelle legate alla cultura, ai beni comuni, ai diritti civili e all’eco-sostenibilità (umana e ambientale). Eppur qualcosa si muove Limitandomi al contesto italiano, ci sono alcune realtà che portano avanti da anni istanze per migliorare il benessere sociale. Cito Fridays For Future e Non Una Di Meno, presenti in modo forte nelle piazze anche prima della pandemia (addirittura con target e modi diversi di fare protesta che arricchiscono il range delle sperimentazioni politico-culturali). Oggi, durante la pandemia, lo vediamo ancora più nettamente, dato che - al netto delle oggettive difficoltà - si è mostrata tutta l’incompetenza di chi sta in posizioni decisionali. Proprio nelle sedi istituzionali, la scarsa sensibilità, la poca capacità di adattarsi e il discostarsi dalla politica reale (come esplicitato nella prima parte di questo articolo) sono maggiormente evidenti. A questo vanno contrapposte le pratiche di mutualismo e solidarietà dal basso e gli esercizi di immaginazione collettiva, tutte attività relegate (nel caso di Milano) a spazi occupati, associazionismo, collettività, iniziative popolari, comitati e singole persone con a cuore il Bene Comune presente e futuro. Movimenti corali quali Priorità Alla Scuola, Rider X i Diritti, Unione Degli Studenti, Art Workers Italia e iniziative di classe come #UnoNonBasta, #CambieRAI, stanno scrivendo pagine fondamentali per il progresso politico-culturale del nostro Paese, andando a indagare la fonte del malfunzionamento dei rispettivi settori. Le loro azioni hanno eco in tutta la penisola; anche in parecchi paesini, fuori dalla grandi città e dove c’è minor copertura mediatica, si sta tuttavia verificando una risposta simile: gruppi informali di cittadinanza attiva si stanno impegnando per portare quelle stesse idee di cambiamento che puntano alla radice del problema nelle proprie comunità. Cito quindi almeno 3 reti di respiro nazionale che atterrano nel locale e di cui sono parte qualche centinaio di uomini e donne per la stragrande maggioranza di età tra i 18 e i 40 anni (per quanto possa sembrare contraddittorio sottolineare la fascia di appartenenza visto quanto detto precedentemente è da evidenziare anche la maggior sovrapposizione tra giovane età e rinnovamento di pensiero e pratiche, cosa che però non deve ridursi a mera questione generazionale, ma restare nella sfera culturale): cheFare con laGuida - la rete dei Nuovi Centri Culturali e Presidi Civici, Ti Candido - tra le promotrici della Scuola di Mobilitazione Politica, La Scuola Open Source in collaborazione con Agenzia Nazionale Giovani con il progetto Europeers; e altrettante realtà presenti e attive nel territorio della Martesana (hinterland milanese): Greenzago che si occupa della tutela del verde nel territorio di Inzago, Spazio MeM che organizza iniziative socio-culturali tra Melzo e i comuni limitrofi, Esco che aggrega giovani e traccia un ponte diretto con l’amministrazione a Cassano D’Adda, a cui sono da aggiungere numerose altre associazioni e gruppi informali, non sempre messe a sistema in un database ma che, senza dubbio, popolano le aree interne di tutta Italia (spesso nemmeno sapendo di trovarsi ad agire sullo stesso territorio per mancanza di occasioni e luoghi di dialogo). Qui, dove la lotta di classe fa meno rumore anche perché ci si conosce di persona, si riesce più facilmente a lavorare a contatto sia con i bisogni e le necessità che provengono direttamente da chi ha maggiori fragilità, sia con le istituzioni, che spesso non riescono a cogliere tutte le sfumature del presente. Qual è dunque la discriminante che da un lato lascia intravedere un progresso sociale quanto mai necessario e dall’altro ci tiene aggrappati a tradizioni, privilegi e a una struttura sociale che dovrebbe essere superata da tempo? Lungi da me voler giudicare il progresso globale o dire quando sarà giusto che arrivi, ma bisogna una volta per tutti chiedersi quanto questa situazione che ci tiene ancorati al passato sia indotta da chi ha interessi a mantenere lo status quo e i relativi privilegi e quanto sia invece frutto di un normale processo di crescita collettiva. Immaginiamo oltre Per rispondere in parte alla domanda, più che di gap generazionale, che spesso sentiamo nominare ma la cui relazione alla sfera unicamente anagrafica non convince appieno, parlerei di gap culturale, volendo così sottolineare come, anche in diverse generazioni di età, si possa individuare un insieme di persone che hanno maggiore capacità di adattarsi rispetto ad altre ai cambiamenti sociali e culturali della realtà di cui siamo tutte e tutti parte. Voglio precisare meglio cosa intendo onde evitare fraintendimenti: maggiore capacità di adattarsi non significa essere migliori di altre persone né deve innescare sentimenti di rivalsa o atteggiamenti di dominio. Ogni persona ha infatti delle proprie caratteristiche, un proprio background culturale ed è posizionata in un preciso momento spazio-temporale della propria vita, per cui non esiste un meglio o peggio in senso lato nell’affrontare un cambiamento collettivo. Ognuna e ognuno di noi, ogni vita è fondamentale e importantissima. Esistono però diverse velocità di adattabilità, ma è indubbio che la tendenza sia sempre quella al cambiamento (qui sì, si spera migliore e non peggiore dal punto di vista dell’estensione dei diritti umani, del welfare e della qualità della vita in senso lato) che resta l’unica vera costante della nostra esistenza. Uno strappo dunque c’è e attraversa tutta la penisola italica, da Nord a Sud, dalle grandi metropoli fino ai comuni più piccoli. Mancano però dei riferimenti a livello di partito e, se mai ce ne sarà davvero bisogno, di singole personalità che portino il focus della discussione politica sia pubblica che privata sui contenuti di questa rottura, evitando contemporaneamente di delegare l’agenda politica a soggetti privati (come successo in Myanmar) o a influencer (come nel caso di Chiara Ferragni). Che cosa accadrà dopo? L’auspicio, oltre a quanto emerge da questo interessante articolo apparso qualche settimana fa su Jacobin Italia, è quello che le istanze - reddito, istruzione, salute, cultura, beni comuni, diritti umani, ambiente - di un inevitabile progresso della nostra società si consolidino nella radicalità delle richieste, andando sempre di più ad agire sulle cause e non sugli effetti; che ogni persona riesca a prendere pieno possesso del proprio tempo, del proprio spazio (urbano, rurale, sociale), del proprio potere contrattuale in quanto consumatore o consumatrice e lo eserciti appieno; che le realtà collettive, orizzontali, dal basso diventino un punto di riferimento come portatrici e stimolatrici di un ricambio nel modo di pensare la convivenza sul nostro pianeta (più aperta, inclusiva, accessibile, equa); che il modello rappresentativo partitico e la figura della persona (spesso uomo) unica al comando venga superato o quantomeno si rinnovi nelle idee e in chi le interpreta; che fioriscano ad ogni latitudine realtà e spazi che diano libero sfogo a tutta la nostra creatività, alla contaminazione delle nostre conoscenze e alla nostra capacità di immaginare nuovi futuri. Partendo da queste basi (e dagli ultimi minuti pieni di speranza di questa intervista all’attivista Yvan Sagnet) sono sicuro che nei prossimi decenni si concretizzerà la rivoluzione che verrà di cui chiunque, anche chi ancora non sa o fa finta di non sapere, ha bisogno. Anche perché, come direbbe Gustavo Tanaka, qualcosa di straordinario sta già succedendo.
Autore: Fred Fumagalli (redazione ALIA)


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