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- 25 ago 2021
- Tempo di lettura: 6 min

Origini e rudimenti pratici della ricostruzione facciale
La ricostruzione facciale è un procedimento utilizzato per cercare di individuare l'identità di una persona. Essa viene definita come l'insieme dei connotati e dei contrassegni di un individuo, ossia le caratteristiche fisiche che abbiamo dalla nascita e i segni che ci procuriamo durante la vita.
I campi di applicazione di questo metodo sono di tipo sia archeologico sia forense. Nel primo ambito, tale pratica viene adoperata al fine di una maggior fruibilità dei dati ricavati dalle ricerche. Nel secondo, la ricostruzione facciale porta alla creazione di un identikit e a dei confronti con dei sospetti di identità. Essa perciò è una traccia che, seppur soggettiva e imprecisa, aiuta a trovare gli elementi validi all'identificazione. Un'immagine, in fondo, rende più facile pubblicizzare e diffondere i dati di uno sconosciuto. Nei casi di soggetti in pessimo stato di conservazione, la ricostruzione è addirittura l'unica possibilità.
Storia del metodo:
Nell'Inghilterra di fine 800 due studiosi, His e Welker, si rendono conto che dal cranio di una persona si può risalire alla sua faccia. La chiave è misurare gli spessori tissutali, ossia la quantità di tessuto molle su una data zona del viso. I due studiosi eseguono, tramite uno spuntone con una parte in gomma mobile, la misurazione di una trentina di punti su 24 maschi e 4 femmine.
Nel 1908 un Neanderthal viene scoperto quasi intero. Fa il giro del mondo e ogni paese ne esegue il calco. Ogni ricostruzione però si dimostra diversa, cosa inaccettabile per un metodo scientifico. Von Eggeling, sostenitore della ricostruzione facciale, fa allora un esperimento. Prende un cranio che lui stesso ha ricavato da un cadavere, ne misura gli spessori e crea un calco. Manda due copie del suddetto a due ricostruttori e questi gli rinviano due risultati diversi tra loro e anche dall'originale. Nessuno a questo punto crede più nel metodo. Effettivamente trenta spessori tissutali sono insufficienti per una ricostruzione e lo spuntone porta, prima di penetrare nel tessuto molle, a un'introflessione di quest'ultimo: si perdono dei centimetri. In realtà lo spessore deve solo dare un'idea indicativa oltre la quale non andare, ma non bisogna tenerne conto alla lettera.

In Russia nel 1924 Gerasimov, paleontologo e anatomista, mette a punto il metodo russo. Realizza il concetto che l'operatore, il creatore della ricostruzione, interpreta sempre quello che fa. Inevitabilmente ognuno di noi ha delle idee archetipali su come siamo fatti, per via del fatto che ci creiamo una concezione facciale in base ai visi dei nostri familiari, essendo tra le prime cose che vediamo nell'infanzia e inoltre simili tra loro. Oltretutto tendiamo a correggere le imperfezioni in funzione dell'estetica. Allora Gerasimov ha pensato, da anatomista, di considerare le inserzioni muscolari: sono riconosciute da tutti e sono oggettive per tutti.
In America si riprende la tradizione inglese e si amplia la banca dati. Nel 1946 Krogman applica il metodo per la prima volta in un caso forense: un uomo di colore scomparso, conseguendone un discreto successo. Allora la ricostruzione facciale viene inserita nel protocollo dell'FBI e da quel periodo si utilizza sempre di più, ampliando il database e creando delle vere e proprie raccolte di spessori tissutali per ogni etnia.

In Europa si utilizza il protocollo di Manchester: Neeve negli anni '60 ha messo insieme il metodo americano con quello russo. L'operatore così è incanalato in un percorso e gli spessori tissutali vengono utilizzati solo come misura massima da non oltrepassare. In base ai dati del 2010, ora il 67% del volto è identificato con un errore minore di 2 mm; restano tuttavia dei problemi per bocca e orecchie, a causa della mancanza di riferimenti e della tendenza a seguire dei canoni estetici.
Fasi del metodo:
Data già per scontata la rimozione dei tessuti molli dal cranio, la ricostruzione facciale presenta due fasi: una ricostruzione in 2D, di profilo, e una in 3D.
Fase 1:
oltre alle misurazioni si utilizza un metodo, in modo da evitare imprecisi e soggettivi canoni artistici per le aree incalcolabili. Ne esistono diversi: molti studiosi hanno studiato i profili e ne hanno tratto dei calcoli matematici precisi. Uno dei più usati è il metodo di George: lo spessore del naso viene reso come il 60% dell'altezza nasale; il labbro è la metà dell'altezza del dente. Codesti o altri parametri possono essere anche sbagliati, ma almeno si usano tutti gli stessi.
Fase 2:
si confronta la ricostruzione in 2D con una tabella recante 33 punti tissutali di riferimento, divisi per sesso, etnia e corporatura. In realtà sono ancora troppo pochi e ci sono intere zone prive di punti di riferimento: bisogna allora improvvisare. Il confronto si traduce innanzitutto nel creare un cranio di base avente già gli spessori conosciuti. Si inseriscono poi in sequenza i muscoli della masticazione, più spessi e robusti, e quelli dell'espressione facciale, molto più sottili; si mette in seguito l'epidermide. Il risultato finale si scannerizza su un computer e si caratterizza con lo strato più importante: quello che caratterizza, ma di fatto è inventato perché non conosciamo barba, capelli, rughe, trucco, parrucco ecc. Ci sono in effetti due scuole di pensiero: chi pensa di non dover aggiungere nulla che non si conosce con certezza, e chi crede invece che tratti ulteriori possano invogliare di più le persone a guardarlo (o almeno non si spaventerebbero). Bisogna sempre tener conto che più si aggiungono dettagli, più una persona sarebbe portata a ricercare un riscontro esatto, preciso. Tutto ciò è improbabile visto che non tutte le caratteristiche riportate sono certe ed è rischioso dato che sono proprio i dettagli ad essere spesso la chiave dell'identificazione. Evidentemente la via migliore è quella di mezzo.

Esistono anche delle ricostruzioni a computer: il programma usa gli stessi spessori di quelle manuali, è più veloce e restituisce tre opzioni. Gli errori però sono sempre quelli che si commettono a mano: le informazioni sono le stesse. Il computer non riesce ancora a correggerli. Inoltre in qualche modo il cervello capisce che è un'immagine finta. È per questo che le ricostruzioni al computer non hanno preso piede.
La ricostruzione facciale e il cervello umano
La ricostruzione facciale presenta molti dubbi e problemi: ha una percentuale di attendibilità non calcolabile; è un metodo costoso; non da sempre risposte. Il fulcro della questione è che non sappiamo come riesca il nostro cervello a riconoscere le facce. Non sappiamo dunque su cosa fare leva per aiutare l'identificazione, nè siamo certi che quest'ultima avvenga.
Si sfruttano, recentemente, molto le scoperte delle neuroscienze, per capire come funziona il riconoscimento facciale nel nostro cervello. Attualmente abbiamo riscontrato solo alcune informazioni.
Ci sono due tipi di caratteri in un viso: interni (occhi, naso, bocca) ed esterni (capelli, linea della mandibola). Essi rientrano in un ordine gerarchico: prima si notano i tratti interni, poi il profilo. Sembra però che sia più importante il secondo se si tratta di riconoscere estranei. Se invece ci troviamo di fronte a soggetti familiari, ci concentriamo più sulla zona centrale del viso. A onor del vero è stato però provato che la familiarità porta a un riconoscimento anche in caso di immagine sfocata o comunque poco definita.
La qualità delle immagini è un altro fattore che porta la nostra attenzione sui diversi caratteri del viso. In caso di scarsa visibilità, è più utile visualizzare il contorno. Recentemente si è ipotizzato che l'uomo, evolvendosi, abbia sviluppato un modo per identificare i suoi simili a distanza, magari per questioni di sicurezza. Per fare ciò allora le informazioni essenziali per il riconoscimento devono essere poche, data l'immediatezza del processo di identificazione. Il cervello infatti cerca di processare il più velocemente possibile, cercando la soluzione più celere. Un esempio è la tendenza a riconoscere uno stesso soggetto da tratti comuni.
Il cervello, preso dalla fretta, è quasi pigro: elabora i caratteri olisticamente, accorpandoli. Si è riscontrato che l'unione delle metà di due immagini diverse ci crea più problemi che fare due ricerche contemporaneamente. È come se cercassimo una sola persona.
Le stranezze non finiscono qui. Il ritratto e la caricatura rimandano a una grande questione: come mai un computer, tracciando le stesse linee di base, non riesce a farci riconoscere una persona tramite un disegno? L'uomo aggiunge dei dati fotometrici che una macchina non riesce a individuare: c'è più di quello che sappiamo.
La forma di un volto dunque è importante, in termini di rapporti spaziali tra gli elementi della faccia. Essenziale è anche il colore, per evidenziare i dettagli e forse per i chiaroscuri.
Negli ultimi anni emergono nuove informazioni, ma purtroppo non siamo ancora giunti alle origini dell'identificazione. È un mistero ancora da scoprire.
Autore: Bianca Maria Calvi
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