Sono fascista? Ovvero: come capire se siamo fan del fascismo e comportarci di conseguenza.
- Accorciamo le distanze

- 10 feb 2021
- Tempo di lettura: 7 min

Vi è mai capitato di parlare di fascismo all’interno della vostra cerchia di amicizie e non venirne a capo? La questione non è tanto dimostrare se il fascismo abbia fatto cose buone o meno. Il punto è dirsi in modo chiaro che il fascismo non è un’opzione accettabile e che va condannato senza se e senza ma, iniziando dalla parte di società più piccola e vicina che abbiamo: la nostra persona.
Di fascismo (e antifascismo) in Italia si parla ad ogni latitudine della società in cui viviamo: dai salotti televisivi ai tavolini dei bar di provincia. Negli anni che ci separano dalla Liberazione dal nazifascismo - era il 1945, settantasei anni fa, sette in meno dell’aspettativa di vita media di chi vive nella nostra penisola - si è più volte cercato di definire se e quanto il fascismo abbia fatto (anche) cose buone per il nostro Paese, questione che sottintende già la propensione a voler revisionare in modo positivo quel periodo nefasto della nostra storia valutandolo solo per alcune sue componenti.
In Fisica, nessun fenomeno è isolabile completamente dal contesto in cui le misurazioni vengono effettuate: il concetto di vuoto assoluto, infatti, non esiste ed è facilmente verificabile digitando la domanda su un qualsiasi motore di ricerca o chiedendo a chi ne ha le competenze. Tentare quindi di circoscrivere un fenomeno separandolo da ciò che vi sta attorno, a parte non essere letteralmente possibile, è intellettualmente disonesto. Ciò vale in egual modo per i fatti storici e per le loro istanze: per analizzarli non possiamo separarli dal contesto di riferimento. Utilizzare dunque l’espediente logico-narrativo di individuare e separare alcune azioni da altre compiute delle stesse persone, nella stessa finestra spazio-temporale e/o da chi condivide le stesse idee, è un modo abbastanza superficiale - ma, ahimè, al contempo piuttosto efficace - per dire ciò che si vuole dire e non ciò che, in maniera più oggettiva, è accaduto, considerando più variabili possibili (di cui il contesto è tra l’altro fra i parametri principali da vagliare) e al netto delle generalizzazioni di sorta. Nel corso della mia esistenza mi è capitato più volte di incontrare il fascismo sulla mia strada, sia per motivi di ricerca che durante chiacchierate con amici. Penso che, quando possibile, un’analisi che parta dalla prossimità della realtà che ci circonda sia un punto di partenza più che ottimo. Quindi, mi sono sinceramente chiesto: io sono fascista? Domanda che ne richiama immediatamente una seconda: che cos’è il Fascismo? Dovremmo saperlo tutti, ma la memoria a volte gioca brutti scherzi e non possiamo sempre sperare nella fortuna di avere (o aver avuto) docenti di Storia all’altezza della situazione.
Quando parliamo di Fascismo ci riferiamo ad un preciso momento storico (compreso tra gli anni ‘20 - in cui si è formata l’ideologia, e gli anni ‘40 - in cui si è conclusa la dittatura nazifascista in Italia) durante il quale la corrente di pensiero e la forza politica maggioritaria era, appunto, quella fascista. Tale corrente di pensiero aveva come capisaldi:
L’autoritarismo: un soggetto forte al comando che mantiene il controllo sull’opinione pubblica con modalità intimidatorie, restrittive e - la maggior parte delle volte - repressive, come lo squadrismo;
Il totalitarismo: l’imposizione di un’unica alternativa decisionale, di pensiero e di opinione;
Il suprematismo della razza italica (leggi per estensione razzismo e discriminazione verso popoli e soggetti considerati inferiori);
Il nazionalismo e il populismo, di cui la propaganda mediatica era la chiave.
In poche parole, nell’oppressione della libertà e della vita di chiunque dissentisse da una data visione del mondo (voglio soffermarmi un secondo sul termine ‘data’, da leggere come: la predeterminazione di un’idea in cui una persona deve credere per forza, pena la limitazione delle proprie libertà vs la predeterminazione di un’idea di società aperta in cui converrebbe credere, senza alcun contrappasso a meno che tu non faccia del male a terzi). Mettendo a terra questi concetti mi è risultato facile rispondere alla prima domanda: no, non sono fascista. Si, ne ripudio i principi perché profondamente distanti dai valori in cui credo, che guardano invece a un mondo in cui si possa vivere secondo le proprie convinzioni e volontà finché queste non arrecano danno ad altri esseri viventi. È anzitutto una questione di rispetto per la vita e la dignità, la propria e quella altrui: questa è la base per riconoscere innanzitutto ad altri esseri umani i nostri stessi diritti. Per fortuna non sono solo io a dirlo ma, dal 1952, esiste la cosiddetta legge Scelba, in virtù della quale chiunque tenti di ricostruire il partito fascista è perseguibile penalmente. Questo è quanto dice la nostra Costituzione quando sentiamo parlare di apologia di fascismo. Come spiegato bene in quest’altro articolo, il reato di apologia di fascismo è già stato applicato tre volte dalla sua introduzione, ma lascia comunque troppa libertà di interpretazione: “un partito politico può anche definirsi neofascista, a patto di poter dimostrare di non stare ricostruendo l’antico partito fascista e di non avere i suoi obiettivi antidemocratici. Per questa ragione movimenti esplicitamente neofascisti come Forza Nuova e CasaPound possono continuare a svolgere normalmente attività politica.”. A fronte di ciò, nel 1993, con la legge Mancino si è tentato di restringere le limitazioni delle precedente normativa. Nello stesso precedente articolo viene infine raccontato come nel 2017 il deputato PD Emanuele Fiano tentò di restringere ulteriormente la legge, testo che passò le votazioni alla Camera ma mai al Senato. Il punto cruciale attorno a cui si arenano anni e anni di tentativi resta l’articolo 21 della Costituzione, quello che salvaguarda la libertà di espressione. Vieni quindi normale chiedersi: che cos’è la libertà di espressione? L’articolo 21 poco fa citato dice che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” e molte altre cose che potete trovare qui e che sostanzialmente non prendono alcuna posizione su chi, avvalendosi di un proprio diritto, ne calpesta altri come la libertà di essere trattati con pari dignità a prescindere dall’orientamento sessuale (cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1), dall’etnia, dalla lingua che si parla (cfr. art. 6), dalla religione che si osserva (cfr. artt. 8, 19), dalle opinioni politiche (cfr. art. 22), dalle condizioni personali e sociali.
Mi rendo conto sia forse un concetto banale ma non trovo altro modo per dirlo: non essendoci una legge che difenda chiaramente dei valori etici e morali che tutti dovremmo condividere, sta a noi non farci ingannare e restare umani (la storia recente e passata ci suggerisce che ciò non è poi così scontato come sembra, è anche per questo motivo che è stato necessario ribadirlo per iscritto nel nostro codice giuridico). Ho scelto il verbo ingannare di proposito, poiché la legge, per quanto imperfetta, è comprensibile nella sua finalità: quella di tutelare la Vita e chi ne è parte. Ogni tentativo di trovare altre vie è palesemente fatto con l’intenzione di arrecare danno a chi non la pensa in quel modo, e chi lo mette in atto è senza dubbio consapevole delle azioni che sta intraprendendo. In caso contrario è stati tratti in inganno da chi ne trarrà giovamento, che guarda caso non è mai una persona che in futuro potrebbe rischiare di subire la stessa sorte. La lotta sociale la si fa a chi ha privilegi per allargarli a chi non ne ha, non viceversa. Chi vuole comunque continuare a vederci una limitazione alla propria libertà facendo appello alla libertà di esprimere la propria opinione politica, probabilmente non ha mai sentito parlare del paradosso della tolleranza di Karl Popper. Questo articolo è perfetto per chi crede ancora nella favola della tolleranza con chi tollerante non è.
Sull’onda di questo ragionamento vien da sè che l’apertura di spazi dove i principi fascisti sono tollerati (o, a maggior ragione, diffusi) non dovrebbe essere concessa. Mettere librerie e case editrici sotto il cappello ampio e variegato della Cultura non rendere tali realtà meno intolleranti e quei libri meno diseducativi rispetto ad una retorica di fondo (nemmeno troppo velata) fatta di odio, violenza e discriminazione. Favorire l'apertura di locali d’incontro in cui circolano idee fasciste è in contraddizione con tutto ciò per cui la società in cui voglio vivere dovrebbe lottare. Invito chi ha letto fino a qui a chiedersi: in quale società io, con i miei affetti, voglio vivere? Senza altri indugi, dobbiamo chiedere a gran voce a chi ci circonda e nelle sedi opportune che venga presa una posizione netta che la Legge, purtroppo, ad oggi non ha ancora avuto il coraggio di chiarire abbastanza: i fascisti e tutti i luoghi in cui il fascismo è tollerato non li vogliamo. Per farlo, questo stesso testo porta con sé una metodologia intrinseca semplice ed efficace: - quando incontriamo il fascismo, informiamoci su ciò che ha fatto di male ad altri esseri umani - domandiamoci se anche in primis noi siamo fascisti;
- riconosciamone l’oppressione della vita e della libertà altrui; - non confondiamo la tolleranza per chi ha idee diverse dalle nostra da quella verso chi usa quelle idee per arrecare danno ad altre persone;
- chiediamo a chi è nella nostra cerchia di amicizie di esporsi senza se e senza ma contro un’ideologia distruttiva, al netto di quanto uno può vederci (anche) cose buone (che di certo non lavano quelle profondamente negative);
- interroghiamoci su quale sia la società in cui noi, con le persone a noi care, vorremmo vivere;
- restiamo umani.
Prima di concludere, vorrei lasciare una riflessione fatta insieme a mio papà (che ringrazio) per chi ha scritto, scriverà o diffonderà contenuti contro il fascismo: accanirsi contro un luogo lo erge a simbolo di una lotta tra tifosi, pro e contro (come già avvenuto poco tempo fa in un comune alle porte di Milano, ad esempio).Combattiamo sempre e comunque il fascismo ma non facciamolo con le sue stesse armi, anche e soprattutto a livello mediatico. Già questo sarebbe un primo fondamentale passo verso il cambiamento che tutte e tutti ci auspichiamo, partendo da chi indubbiamente può generare e insieme ricevere l’impatto maggiore da ciò in cui crediamo: noi stessi.
Autore: Federico Fred Fumagalli


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