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Teater 7 Inzago 1974/1981




Il mio incontro con il Teatro risale agli anni Settanta e si è svolto nell’ambito di quel movimento che allora veniva definito “Gruppi di base”: esperienza fortemente radicata nel territorio e dal carattere dichiaratamente politico, praticata da attori non professionisti ovvero da giovani che avevano un proprio lavoro e che dedicavano le ore extra-lavorative al teatro. La compagnia della quale facevo parte si chiamava Teater 7 e si trovava ad Inzago (MI) in via Piola al numero 7.



Sette anni di lavoro non sono pochi. Il mio sguardo si volge indietro, vedo me stesso e tutti gli amici che hanno fatto parte di quell'avventura che noi, per via del numero civico, avevamo chiamato Teater 7.


Ognuno di noi si era avvicinato a suo modo e con le sue ragioni non esplicitate. Ci siamo riconosciuti nella pratica, nell'allenamento, nel fare, quel fare che diventava legame, comunità, bottega teatrale. All'inizio eravamo in tanti: Alberto Gorla, Mario Barzaghi, Paolo Pirotta, Luisella Paroni, Claudia Buzzini, Carlo Calvi, Grazia Brusamolino, Giuseppe Fumagalli, Cesare Pirotta.


Il nostro primo spettacolo La mercanzia, testo di Andrea Benedetto, regia collettiva, ha da subito evidenziato una linea di tendenza: fare teatro politico. Nel giro di pochi mesi, siamo passati dall'allenamento alla messa in scena di un testo legato ad un capitolo importante de Il capitale di Carlo Marx, per l'appunto, La mercanzia. Era il momento in cui il termine «coscientizzazione», coniato da Paulo Freire, diventava la parola chiave per definire il nostro fare teatro come Teatro Politico. Il teatro era un pretesto, un mezzo, un tramite per “coscientizzare” le persone che avrebbero visto il nostro lavoro. La Mercanzia, dopo aver debuttato a Inzago, spaccando, in rapporto al giudizio, gli spettatori in due nette fazioni, venne rappresentata nelle fabbriche occupate, in Belgio, nel Limburgo per i minatori italiani, ed anche nella prima rassegna dei gruppi di base della Lombardia organizzata dal CRT di Milano.


Come spesso capita, il teatro diventa un'area di transito, dopo aver fatto diversi spettacoli e diverse esperienze laboratoriali, molti degli amici che c'erano all'inizio se ne sono andati. L'ultimo lavoro è stato Taksim e vedeva in scena me (Mario Barzaghi) e Rosalba Genovese. Non posso ritrarre questo lungo periodo, ci vorrebbe troppo tempo, mi soffermerò su quello che il Teater 7 ha determinato nella mia vita, sui cambiamenti radicali che, grazie al Teater 7, ho potuto compiere.

Il teatro come piede di porco, grimaldello che apre porte blindate.


Ho iniziato a lavorare all'età di 14 anni, ho smesso di lavorare come metalmeccanico nel 1981, anno in cui si è sciolto il Teater 7 e anno della mia entrata nel Teatro Tascabile di Bergamo. Nel TTB entrò anche Alberto Gorla, portammo in dote il nostro spettacolo di clown, creato nel Teater7, Arrivano i clown, che poi divenne parte del repertorio del TTB e che tuttora con altri attori della stessa Compagnia, viene replicato.


All'inizio il Teater 7 mostrò la sua capacità di fare da tramite, di diventare mezzo e non fine: facevamo teatro perché volevamo “coscientizzare” gli altri attraverso i nostri spettacoli. Avevamo un fondo cassa ed ognuno di noi versava una percentuale del suo stipendio per sostenere il lavoro. Proponevamo i nostri spettacoli e le parate, gratuitamente; era il momento in cui si diceva: «L'arte è di tutti». Spesso ci offrivano la cena o un piccolo rimborso spese. La parola cachet era per noi sconosciuta.


Alcuni di noi avevano letto Per un teatro povero di Jerzy Grotowski. Il nostro allenamento iniziale cercava di seguire quelle indicazioni, quegli esercizi fisici che Grotowski aveva descritto nel libro. Tutti noi ci trovavamo bene in quel contesto in cui il teatro ci obbligava alla fisicità. I ritmi del lavoro erano impressionanti, si lavorava la sera dopo una giornata di lavoro ufficiale, il sabato pomeriggio e la domenica mattina. Tuttavia nessuno di noi ha mai pensato di fare degli sforzi eccezionali, al contrario quell’impegno, quegli orari erano il preludio ad una possibilità salvifica attraverso un lavoro scelto e non dipendente. Ora posso dire che il Teater 7 mi ha aiutato a comprendere meglio me stesso e a canalizzare le mie tensioni. Nasciamo in modo casuale e diventiamo subito parte di un sistema che nessuno di noi ha scelto. Il lavoro dipendente è la cosa più evidente. Mentre mi allenavo con i compagni per “coscientizzare” gli altri iniziavo a comprendere che quel tempo "libero" e soprattutto da me scelto, stava diventando un bisogno da contrapporre al lavoro ufficiale in cui mi sentivo alienato e sfruttato.


Sette anni in cui lo scarto fra il lavoro dipendente e il lavoro artistico mi ha portato, col tempo, a pensare che in primis dovevo salvare me stesso, senza dovere a tutti i costi “coscientizzare” gli altri. Ecco che il teatro diventava una possibilità di riscatto, di redenzione, per uscire dalla prigione del lavoro dipendente.


Il Teater 7 faceva parte dell'universo frastagliato e diversificato del Centro Attività Sociali. All'interno vi erano persone, amici, che mi hanno spinto a riflettere, a pensare al valore della mia vita e a fare delle comparazioni fra il lavoro ufficiale e il lavoro teatrale. Anni fondamentali in cui ci si rivolgeva al territorio con delle proposte teatrali quasi vicine all'agit-prop per poi arrivare a concepire il Teatro non più come mezzo, bensì come fine assoluto. In questa tensione, in questo avvicinamento alla visione pura dell'arte c'è la salvezza dell'individuo. Il teatro mi ha tolto dal lavoro dipendente, mi ha tolto dalla ristrettezza dello spazio, dal Taylorismo, mi ha fatto uscire dalla fabbrica e mi ha aiutato a dispiegare le ali verso quella libertà che, stando in fabbrica, non potevo neanche immaginare. Tutto questo lo devo al Teater 7, ad un insieme di amici che lavoravano con entusiasmo e rigore. Allora non lo sapevo, stavo gettando le basi per fare un salto di qualità: passare dal livello amatoriale alla professione, professione che si sarebbe sempre svolta con gli altri, nel Teatro Tascabile di Bergamo, nei gruppi di teatro, nelle compagnie di teatro, fino ad arrivare a costituire, con Rosalba Genovese, il Teatro dell'Albero che nel tempo ha potuto accogliere anche Maria Rita Simone che con noi condivide etica ed estetica.


 

Autore: Mario Barzaghi

 
 
 

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