Un piccolo foglio lungo 36 anni
- Accorciamo le distanze
- 12 ott 2022
- Tempo di lettura: 6 min

L'incredibile avventura di Demos,
un giornalino indipendente a cavallo dei due secoli
Quando tutto cominciò le riunioni erano fumose, nel senso delle sigarette, ed erano anche numerose, nel senso della frequenza e della quantità dei partecipanti, animate, ricche di discorsi che mischiavano l'intellettualismo degli universitari alla concretezza degli operai, l'esperienza dei più anziani all'entusiasmo di chi, tra di noi, era ancora giovane o giovanissimo. Fu proprio in uno di questi incontri che Sergio Pessani, il più avanti con l'età, tirò fuori l'idea del giornale. Era la fine dell'inverno '73-'74 e, mentre la primavera era alle porte, in Italia esplodeva la campagna referendaria sul divorzio ma, purtroppo, era ancora ben vivo il terrorismo nero facendo anche esplodere di lì a poco una bomba in Piazza della Loggia a Brescia, con morti e feriti.
Sergio era persona di cultura fine e propose il nome demos (popolo, in greco) da dare al giornale, un nome che per l'epoca, e soprattutto per una realtà paesana come Inzago, era già di per sé una novità assoluta, basti pensare che le testate locali erano il Bollettino Parrocchiale o saltuarie pubblicazioni dei partiti con richiami ideologici al socialismo, al proletariato, addirittura alla rivoluzione.
Nel marzo del 1974 quindi uscì il primo numero zero (in attesa di autorizzazione), la redazione era l'assemblea del CAS, allora piuttosto consistente, che decideva e gestiva in quella prima fase storica tutte le iniziative e i progetti dell'associazione. Da subito si poteva notare un linguaggio inedito nelle pubblicazioni, una specie di mix tra le esperienze ancora giovanili della maggior parte degli articolisti e le loro origini di natura cattolica, pur ormai emancipate dall'oscurantismo ecclesiastico di allora, con l'arguzia e l'ironia graffiante, da toscanaccio qual era, di Sergio che inventò la pagina satirica con la rubrica dell'Inzaghino d'oro, e anche con la pacata ma determinata coerenza ideale di un altro “grande vecchio”, ma non era neanche cinquantenne, come Pino Marziani, che ci ha recentemente lasciati in questa estate 2021, dopo avere ampiamente superato i 90 anni.
Dapprima il giornale ebbe un'uscita mensile ma, ben presto, ci si accorse che era di difficile sostegno e, dopo varie vicissitudini, all'inizio degli anni ottanta si trovò la formula dell'uscita bimestrale, mentre già da tempo la redazione aveva opportunamente ridotto di molto il numero dei suoi componenti. Nel tempo Demos cambiò anche la grafica passando da giornalino quasi da ciclostile a un formato più ampio ed arioso, come un volantone agile, di pronta lettura, e questo formato ne caratterizzò l'uscita per una ventina di anni, gli ottanta e i novanta, periodo questo quasi eroico perché da tempo si era esaurito l'entusiasmo iniziale, le forze si erano ridotte ed era continua la domanda sull'utilità della pubblicazione, sulla necessità di capire se si era funzionali al cambiamento, se si era efficacemente presenti nella socialità locale e capaci di incidere culturalmente nel dibattito pubblico.
Eppure in quegli anni Demos elaborò coraggiosamente tematiche, nonostante le difficoltà, che oggi appaiono sorprendenti: l'ambiente, nel 1981 appare tra le sue colonne una prima rudimentale proposta di raccolta differenziata dei rifiuti; la droga, argomento scivoloso e quasi tabù, con una inchiesta sulla realtà inzaghese; la cooperazione, intesa come proposta di esperienze condivise, sia dal punto di vista lavorativo che da quello delle relazioni internazionali.
Il giornale aveva maturato uno stile e una peculiarità che lo caratterizzerà fino alla fine dei suoi giorni, un linguaggio schietto, senza fronzoli, popolare ma senza superficialità, colto ma senza sfoggio di inutili barocchismi o concetti complicati. Soprattutto Demos cercò sempre di essere sincero, aperto alle novità, poco incline all'adeguamento o all'omologazione sulla moda del momento, sull'opportunità di tendere l'orecchio agli slogans che determinavano via via un'epoca o una fase della vita sociale.
Nella parte centrale della sua vita, quel periodo sopra citato, ma anche dopo, Demos provò, riuscendo in parte, ad essere un riferimento culturale: all'interno della redazione la discussione non era tanto su quale notizia pubblicare o quale denuncia fare per qualche malefatta del potere, ma come riuscire ad essere ponte tra le diversità, a sviluppare relazioni, a essere fonte di dibattito e crescita collettiva.
La cosiddetta controinformazione era una ragione ma non bastava, andava stretta, non era un motivo abbastanza sufficiente per spendere tempo, fatica e, ovviamente, anche soldi, essendo un giornale, praticamente senza pubblicità, sempre al limite del pareggio di bilancio se non in perdita.
Il Centro Attività Sociali, in funzione di editore, si sobbarcò gli eventuali oneri, soprattutto con formule di autofinanziamento, ma condivise sempre la necessità di mantenere una voce libera, indipendente, pronta alla denuncia ma aperta all'ascolto, che provava con fatica a promuovere il confronto, senza censure ma con ben chiari dei punti irrinunciabili che alla fine ne definivano la natura: nessuno spazio a fascismi, razzismi, volgarità becera, testi anonimi, o penose, stanche e inutili banalità.
L'altro aspetto, distintivo per tutti i progetti del CAS, ma qui, vista la durata, di una certa eccezionalità, fu quello del volontariato: il giornale veniva redatto, scritto, impaginato graficamente, in questo singolo settore solo (!) per i primi 25 anni, etichettato per gli abbonati e distribuito da noi! La stampa per 30 anni fu appannaggio della Cooperativa Grafica Il Girasole, praticamente per tutta la durata di questa importante esperienza imprenditoriale, e solo negli ultimi 12 anni la preparazione venne affidata ad un grafico professionista, anche per essere al passo con la richiesta di una qualità e una professionalità superiore da questo punto di vista. Ciò nonostante la professionalizzazione del giornale non andò oltre il necessario, restava sempre quell'approccio romantico, quella militanza tra l'ingenuo e il disperato, quella convinzione di proporre un lavoro artigianale, pulito anche nei suoi limiti, quasi estraneo ai tempi della politica che andava cambiando, e che diventava più cinica, fredda e calcolatrice.
Una svolta fondamentale fu quando, nel 1989, la redazione cambiò pelle e venne arricchita da nuovi soggetti, uno su tutti Mirko Pajè, grafico, fumettista, vignettista, pittore e, all'occorrenza, pure scrittore. Mirko portò una ventata di aria nuova, una grafica innovativa, lanciò la pagina satirica con la gloriosa rubrica di Demoskopio, inventò il personaggio di Supercas, ma soprattutto, ed ecco lo spirito di Demos, si prestò, ben prima dell'avvento dell'informatica e incurante di incrinare la propria figura di professionista già a grandissimi livelli, a impaginare nelle serate a casa dopo il lavoro, insieme alla moglie Luigia, il nostro giornale, incollando le colonne di testo, facendone un montaggio, disegnando, inventandone l'immagine.
Questo periodo, gli anni novanta e fino al capolinea del 2010, fu per Demos forse il più intrigante, la redazione era formata da un gruppo solido, omogeneo, maturo e responsabile, capace anche di trovare collaboratori, di discutere la linea editoriale in maniera completa, di individuare gli argomenti con puntualità e di elaborarli con la dovuta attenzione.
In questi anni Demos dovette saper dimostrare in pratica la sua indipendenza, soprattutto sulle questioni locali, che erano giustamente ritornate ad essere parte centrale nella sua pubblicazione. Mentre era facile essere molto critici con la prima Giunta leghista a Inzago del 1993, quella retta dall'ineffabile e indimenticabile Sindaco Ghilardi, bersaglio preferito e ghiotto per la matita graffiante di Mirko, la questione si complicò parecchio quando per la prima volta dal dopoguerra la Sinistra inzaghese conquistò Palazzo Piola. Le discussioni, non tanto in redazione ma soprattutto all'interno del Centro Attività Sociali, furono vivacissime, in qualcuna volarono anche parole forti, i conflitti interni erano piuttosto accesi, ma la scelta, rischiosissima ma coerente nei confronti della nuova Amministrazione Comunale, fu quella di essere pronti alla collaborazione, a patto di essere in due a volerla, tenendosi la libertà di critica e, a ragion veduta, di dissenso.
La redazione discuteva con schiettezza e si prendeva la responsabilità delle scelte, ma il clima era più sereno rispetto all'Associazione, ci si trovava a casa di Lina o di Gloria e, mentre si parlava, si gustava una fetta di torta, si beveva un bicchiere di spumante, si condividevano con familiarità momenti di affetto e amicizia, e intanto Mirko disegnava caricature su foglietti improvvisati, inventava, seguendo la discussione, momenti di pura satira politica. Ciò nonostante quando c'era da prendere posizione, anche scomoda e critica con la Sinistra locale, non si scherzava, si diceva quello che si pensava, e questo portò certamente a esporre Demos, dapprima a una freddezza, poi a un gelo e infine ad aperta emarginazione da parte di un buon numero degli Amministratori di allora.
Ancora più complicato fu quando, a Inzago, vinse le elezioni la lista di Progetto Inzago, eleggendo alla carica di Sindaco, Benigno Calvi, storico redattore della nostra rivista. Qui entrava in campo anche la componente affettiva, non era per niente facile essere equidistanti, la prova ci chiamava ad alzare l'asticella della credibilità. Consapevole di questo pericolo, la redazione optò per lasciare ampio spazio tra le pagine del giornale, soprattutto sotto forma di interviste, alla voce delle forze di opposizione. Intanto però i tempi cambiavano, il CAS viveva nuove problematiche, di dinamica interna, di scelte strategiche e anche di natura economica. In questo contesto, nell'autunno del 2010, l'assemblea dell'Associazione decise di chiudere, a maggioranza, l'esperienza del giornale, decretandone il capolinea. Si potevano tentare altre vie? Si potevano sperimentare altre formule?Forse sì, ma la Storia non si fa né con i se, né con i ma, epperò non c'è dubbio alcuno che il vuoto lasciato si sente, e questo ha certamente influito ad un impoverimento del dibattito socio-culturale inzaghese, togliendo negli anni un ostacolo di idee all'ascesa della Destra locale.
Autori: Lina Colarusso
Carlo Calvi
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