Uscire dalla testa
- Accorciamo le distanze

- 12 ago 2020
- Tempo di lettura: 6 min

Un resoconto dell'esperienza attoriale scritto nella duplice chiave di rivoluzione sia personale sia della persona: uscire dalla trappola che è il cervello e valicare i limiti della propria identità cosciente.
Si è soliti associare il teatro alla finzione perché effettivamente quello che accade a teatro non accade davvero. Si tratta di una messa in scena dopo tutto, no? Eppure non conosco posto più vero e intimo di un'aula di teatro.
Ho iniziato un corso attori a Milano, due anni fa; il "caso" aveva creato la situazione giusta per convincermi ad affrontare una lezione di prova. La scuola che frequento offriva e offre tuttora questa preziosa possibilità prima di iscriversi definitivamente al corso prescelto. Mi trovavo nella sala comune della scuola, con altri ragazzi e ragazze sconosciuti, in attesa di entrare per la prima volta in aula. Ci si guardava con aria schiva, tra sorrisi imbarazzati e riservatezza; nessuno aveva il coraggio di spiccicar parola e io di certo non pensavo che da lì a poco il teatro mi avrebbe rivoluzionato cuore e mente. Quel momento di attesa mi procurava profonda timidezza e disagio e fino all'ultimo non avrei mai creduto di riuscire a metter piede, nudo, in aula. Sì, perché lì si sta scalzi; il primo grande atto di libertà che ci si regala entrando nel mondo teatrale è quello di potersi muovere a piacimento. Per sentirsi veramente liberi bisogna abbandonare il giudizio, verso se stessi e verso gli altri, e vedere ogni tentativo, ogni esercizio proposto dall'insegnante, ogni improvvisazione come un'occasione e una scoperta di qualcosa di sé che prima non si conosceva.
"Devi uscire dalla testa", dice il mio insegnante per farci uscire dagli schemi, non appena ricadiamo nei nostri soliti cliché. Effettivamente non trovo espressione più azzeccata: siamo molto di più di quel che pensiamo e che siamo abituati a essere e il teatro permette proprio di esplorare lati che nella vita "normale" non abbiamo occasione di conoscere. La sua bellezza sta nel lasciarsi accadere, lasciarsi cambiare da se stessi e da quello che sta intorno; lasciarsi guidare dalla musica, dai compagni e non dimenticarsi mai dello spazio fisico che ci circonda e che occupiamo, prima come esseri umani e poi come attori. Potremmo definire tutto questo come un laboratorio di esplorazione del sé perché teatro è conoscenza, è indagine, è un tentativo di espressione continua.
Questa introspezione non è innata, ma richiede impegno e dedizione. Il training è infatti la prima fase di ogni lezione; si tratta di un riscaldamento muscolare nel quale si esplora lo spazio attraverso il movimento fisico. La scena, l'aula sono luoghi "sacri" che l'attore deve saper conoscere e di cui non si deve mai dimenticare; sono punti di riferimento da cui si costruirà la scena teatrale. Quando assistiamo come pubblico a uno spettacolo, le scene che vediamo non sono certo "pre-confezionate": non si tratta semplicemente di imparare la propria parte a memoria e saperla recitare bene. Gli attori o gli allievi che devono affrontare la preparazione di una scena, prima analizzano a fondo il copione e le intenzioni dei personaggi col regista o con l'insegnante, poi imparano a memoria le battute e infine lavorano la scena nello spazio fisico. Attraverso delle improvvisazioni fisiche sulle parole dei loro personaggi, vanno a indagare i movimenti e i vari modi in cui i soggetti potrebbero stare in scena e in che modo si relazionerebbero gli uni con gli altri. Da tutte queste fasi si arriva ad avere la scena teatrale che vedrà poi lo spettatore. Tutto questo accade seguendo ovviamente delle linee guida proposte dall'insegnante o dal regista e grazie a esercizi pratici di esplorazione di sé, dell'altro e dello spazio.
Ogni regista ha la sua visione personale in merito al modo di approcciarsi al teatro, dettata dall'esperienza e dal fatto che si può essere influenzati da più correnti di pensiero. Ci sono infatti diversi metodi di approccio che stanno alla base della riflessione sul lavoro dell'attore e sul suo ruolo. Ricordiamo tra i più conosciuti il metodo Stanislavskij, che, basato su indagini ed esercizi introspettivi e psicologici sul personaggio, a partire dalle esperienze personali dell'interprete, mira a estrapolare dall'attore stesso emozioni o ricordi da associare, trasformare e riutilizzare nel lavoro.
Un'altra faccia del teatro ce la rivela Grotowski, regista teatrale polacco del XX secolo, con l'invenzione del concetto di Teatro Povero. Egli sostiene che solo eliminando ciò che è superfluo -quindi togliendo effetti speciali, costumi, luci, scenografie- si potrà arrivare alla verità della scena e dell'attore. Attraverso il suo laboratorio teatrale sperimentale vuole cercare di evitare il più possibile quelli che lui considera gli “elementi di distrazione della scena” e cercare di ridurre al minimo la differenza tra impulso interno e reazione fisica esterna. Grotowski è dell'idea infatti che le reazioni che abbiamo nella vita quotidiana siano filtrate da regole comportamentali che ci limitano continuamente: solo in alcuni casi specifici -per esempio durante un momento di gioia profonda, di piacere assoluto o di rabbia improvvisa- ci dimentichiamo di queste regole e reagiamo in maniera totalmente sincera e vera, senza filtri, esternando completamente l'emozione che proviamo e l'impulso che nasce dentro di noi. Uno dei suoi obiettivi consiste proprio nel far ritrovare all'attore questa profonda verità di espressione, che poi porterà in scena attraverso il personaggio e la sua storia.
Nel tentativo di seguire gli insegnamenti di Grotowski, tre elementi essenziali contribuiscono a una maggior veridicità e immediatezza dell'esperienza teatrale. La prima cosa che l'attore deve essere libero di fare in scena è respirare: un respiro aperto, generoso e l'utilizzo del diaframma sono la chiave per poter veicolare al meglio la voce per pronunciare le battute. Il secondo punto fondamentale è lo spazio; attraverso di esso e il movimento l'attore svolgerà delle azioni per poter raccontare cosa accade al personaggio. Il terzo punto è il pubblico. Spesso durante le lezioni, gli esercizi si svolgono individualmente o a coppie e il resto della classe diventa spettatrice della scena o dell'improvvisazione in atto, proprio perché il teatro senza pubblico non può esistere.
Quest'ultima tecnica è uno degli esercizi più temuti, più divertenti e più efficaci per poter esplorare e giocare con se stessi e con gli altri: consiste nel sottoporsi alla scena senza alcun pensiero prestabilito e soprattutto senza doversi preoccupare e appoggiare a un testo scritto. Si può improvvisare da soli oppure ci può essere l'improvvisazione di coppia o di gruppo. Sei lì, in scena, con te stesso o con un tuo compagno attore e non sai quello che accadrà, non sai come si evolveranno le cose; è tutto un susseguirsi di eventi dettato dall'istinto, dal sapersi affidare ai propri impulsi e a quelli dell'altro. Nelle improvvisazioni di gruppo o di coppia si sviluppa molto la capacità di stare in relazione con gli altri, e questo è un ottimo esercizio di allenamento e apertura all'ascolto, che sarà poi utile per affrontare i dialoghi in scena. Durante l'improvvisazione nulla è programmato, ed è proprio così che si scoprono nuovi modi di essere, di stare sulla scena, di sperimentare movimenti; tutto questo può essere davvero una grande opportunità di indagine per evadere dai nostri soliti modi di fare. Fino a quel momento avevo sempre visto il mestiere di attore quasi interamente come un lavoro di introspezione: non avevo mai pensato al fatto che potesse partire dall'esterno, dallo spazio o da una relazione con l'altro per trovare modalità sempre nuove di espressione. Invece il bello sta proprio nella scoperta, e poter lavorare con più compagni o colleghi possibili è una ricchezza, perché ti permette di tirare fuori cose diverse a seconda della persona che hai davanti.
Uno degli aspetti umani più belli è d'altronde il legame che si crea con i propri compagni di teatro; la disinibizione durante le attività in aula e il coraggio di sperimentare con o davanti all'altro sono il riflesso della grande fiducia che sta alla base di questi rapporti interpersonali. La compagnia teatrale diventa una sorta di branco, un gruppo consolidato guidato da un profondo rispetto, lealtà, sincerità, generosità e comprensione: qualità che si traducono spesso in una profonda amicizia.
Meglio della mia esperienza, le parole di Grotowski riassumono con chiarezza e semplicità la grande potenza e la grande forza del Teatro.
"L'arte non è né una condizione dell'anima né una condizione dell'uomo. L'arte è una maturazione, una evoluzione, un elevamento che ci permette di emergere dall'oscurità in un bagliore di luce. Lottiamo quindi per scoprire, per sperimentare la verità su noi stessi; per strappar via le maschere dietro le quali ci nascondiamo ogni giorno."
Autore: Lucrezia Abate


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