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Utopian John





Il bello di studiare la storia non è solo approfondire i grandi eventi del passato, ma sicuramente anche cogliere le personalità, i singoli, che a loro modo hanno contribuito alla scrittura del nostro presente. Non per forza parlo dei grandi, il cui materiale storiografico ovviamente non manca, ma a volte sono i personaggi secondari a stupirci di più, a intrattenerci e a insegnarci. È così che nel mio percorso universitario mi sono imbattuto in John Gilbert Winant.


Il nome non dice niente, non c’è da stupirsi, ma la sua storia l’ho trovata degna di un soggetto di teatro, quasi da tragedia greca. Ecco perché voglio ripercorrere di seguito l’arco biografico del soprannominato Utopian John.


John nasce nel 1889 a New York City, ma trascorre infanzia e adolescenza a Concord, capitale del New Hampshire. Prova la vita universitaria nella prestigiosa Princeton, ma si rivela uno studente non all’altezza e abbandona gli studi senza laurearsi. In compenso torna a casa e nel 1913 trova un lavoro come insegnante di storia nel suo vecchio liceo, il St. Paul’s. Oltre alla carriera scolastica, Winant comincia a svilupparne una parallela in politica, infatti nel 1916 viene eletto da repubblicano nella camera dei rappresentanti del New Hampshire. Il tutto si interrompe per forza di cose nel 1917, anno in cui gli USA entrano in guerra: John presta servizio nell’aeronautica, comandando uno squadrone di osservazione in Francia con il grado di capitano. Dopo la guerra torna a insegnare nel 1919 e l’anno dopo viene eletto senatore del New Hampshire. Diventa un politico talmente di successo che ottiene il governatorato del suo stato per ben due mandati (1925-27, 1931-35), la sua reputazione aumenta all’interno del partito repubblicano e si vocifera una possibile candidatura alla Casa Bianca. Si intravede un uomo che potrebbe fermare il continuo successo di Franklin Delano Roosevelt.


Fino a qui sembra che io abbia descritto un certo tipo di persona, nell’immaginazione si percepisce probabilmente qualche stereotipo repubblicano, eppure non è così. Nella sua biografia e dalle varie testimonianze esce fuori una personalità che quasi cozza con la realtà. Innanzitutto, viene descritto da tutti come una persona estremamente timida. La figura sembra quella di un timido intellettuale che ama la storia e la politica, ma soprattutto che ama insegnarle ai suoi allievi secondo la compostezza. Un forte introverso che però già dai primi anni in politica compone dei discorsi che coinvolgono puntualmente il pubblico: ordinato e quieto, colpisce e stupisce attraverso le sue parole, attentamente preparate. Dal punto di vista ideologico è il repubblicano più socialista di cui abbia mai letto e, appassionato di relazioni internazionali, abbraccia ciecamente l’approccio idealista di Wilson. È un idealista, crede quindi che le potenze anglosassoni abbiano il dovere di combattere Hitler nel nome della libertà e della democrazia, americana e dei paesi occupati. Sostiene che la cooperazione internazionale sia la chiave per far sì che sicurezza, pace e prosperità fossero raggiunti dall’universalità delle nazioni.


Questa figura così si approccia sempre di più verso la carriera internazionale, sia per suo interesse, sia spinto dall’amministrazione Roosevelt, soprattutto per timore che Winant potesse decidere di candidarsi alle elezioni presidenziali. Dunque dopo esser stato presidente dell’ILO (international labour organization), una delle più antiche organizzazioni internazionali, viene scelto per il ruolo più importante della sua carriera: ambasciatore americano a Londra nel 1941, mandato che manterrà fino al dopoguerra nel 1946.


Nel 1941 siamo forse nel momento più buio per la Gran Bretagna: i bombardamenti sono all’ordine del giorno e i britannici sono soli, senza alleati. Winant arriva a Londra nel marzo di quell’anno e appena sceso dall’aereo comunica alla stampa: “there’s no other place I rather be than England”. È un messaggio forte, si preannuncia un cambiamento della politica estera americana rispetto alla guerra e Winant sembra rappresentare il primo passo. Figura scelta appositamente per il suo ritratto sui generis: il suo partito forniva un facile liaison con l’ideologia di Winston Churchill e di conseguenza con il governo inglese, ma, date le sue numerose idee di welfare, poteva essere benissimo accolto da un ipotetico cambio di governo verso un gabinetto laburista.


Nella prima fase del suo mandato (che durerà fino alla fine del 1941 con Pearl Harbor) egli è al centro dell’attenzione: si testimonia la sua fase di trionfo. Incarnando la volontà di cooperazione americana e sempre avendo occhi da sognatore, si dà subito da fare nelle relazioni internazionali tra Churchill e Roosevelt, tentando di mediare aiuti per i britannici. Abbandona i toni sfarzosi da ambasciatore: si occupa anche delle piccolezze, passeggia nei quartieri di Londra appena dopo i bombardamenti senza scorta e dando conforto alla popolazione. La stampa e l’opinione pubblica si “innamorano” di questa figura così mite e gentile che si aggira in un momento così disperato per la nazione. Vengono riportate interviste e discorsi che non fanno altro che aumentare l’ammirazione anche da parte di molti esponenti dell’opposizione, con cui stringerà nel corso del suo mandato forti amicizie. Un episodio particolare è uno dei frequenti viaggi che l’Ambasciatore faceva in Gran Bretagna, durante il quale avviene in Galles uno sciopero di minatori. Winant davanti ai minatori tiene un discorso senza neanche un appello diretto al terminare lo sciopero, ma semplicemente con grande maestria espone i suoi ideali e la necessità di vittoria per far sì di instaurare un nuovo ordine non solo politico ma anche economico, tutelando così i lavoratori. Al termine del discorso i minatori tornano a lavorare e dopo un paio di giorni lo sciopero finisce. Inutile dire come la stampa abbia poi riproposto tale episodio. Al tempo stesso non può non essere apprezzato anche dalle istituzioni, Churchill elogia non solo il suo operato, ma anche il suo costante impegno nel fornire il maggior aiuto possibile, specialmente nel mediare con l’amministrazione Roosevelt. Diventa tra l’altro un ospite regolare nella tenuta di campagna del primo ministro a Chequers, gli unici momenti in cui si poteva rifugiare dall’orrore bellico in città.


Dal 1942 arriva una seconda fase, la fase di declino: con l’inizio degli aiuti statunitensi per gli inglesi e l’entrata in guerra, Winant viene gradualmente sempre più escluso dal centro del processo decisionale. I motivi sono i più vari: non era un Ambasciatore di carriera, quindi non aveva ricevuto una formazione diplomatica; personalità più carismatiche e preminenti come Harriman o Hopkins gli rubano la scena insieme anche a tutte le varie agenzie intergovernative americane che decidono di negoziare direttamente con i corrispettivi britannici, molto spesso senza neanche comunicarlo a Winant. È poi anche da considerare che il dibattito storico definisce gli anni 30/40 la golden age della special relationship tra Gran Bretagna e USA: mai un rapporto fu così stretto come quello tra Churchill e Roosevelt, con la conseguenza per Winant di una progressiva esclusione. Con un’amicizia così forte tra i due statisti è ovvio che a soffrirne è il ruolo dell’ambasciatore. John infatti soffre, cerca sempre di mantenere un punto di vista internazionalista, idealista, ma esso si scontra con il crudo realismo che caratterizza la guerra. Durante il conflitto l’Ambasciatore cercherà sempre di mantenere rapporti con i sovietici e anche di porre le basi per la ricostruzione non solo delle zone occupate, ma anche di costruire qualcosa per il futuro del sistema internazionale.


Il momento negativo in carriera si unisce a una salute malconcia e a problemi di indebitamento che lo accompagneranno per tutta la vita. Inoltre proprio in questo periodo decide di iniziare una relazione extraconiugale, con chi? Ma ovviamente con Sarah Churchill, figlia del primo ministro inglese. Insomma Winant sta perdendo il controllo su se stesso. Nelle lettere e nei documenti si denota come la disperazione sia predominante e come ormai abbandoni qualsiasi tono formale per chiedere quasi pietosamente aiuto al segretario di stato Hull rispetto alla sua posizione. Dopo esser stato escluso a quasi tutte le conferenze chiave degli alleati, alla fine del 1943 gli viene conferito un incarico che sembra gli possa dare una speranza ai suoi ideali e al suo possibile contributo: rappresentante statunitense all’European Advisory Commission (E.A.C.), la quale aveva il compito di coordinare tra i tre paesi alleati il processo di occupazione e ricostruzione istituzionale della Germania e di tutte le zone occupate. Inutile dire che anche qui il suo lavoro, come quello della Commissione stessa, sia stato marginale e sempre posto in secondo piano rispetto a logiche e interessi più immediati e concreti, collegati all’idea di realpolitik che già faceva presagire le future tensioni tra USA e URSS. Senza contare il fatto che con la morte di Roosevelt e l’arrivo di Truman alla presidenza non migliora assolutamente la sua posizione, data la relazione poco amichevole tra le due personalità.


Finito il conflitto e vedendo realizzarsi da una parte un nuovo ordine internazionale con la creazione delle Nazioni Unite e dall’altra i presupposti di quella che sarà la guerra fredda, Winant timidamente esprime il desiderio di avere la possibilità di essere il primo segretario generale delle NU. Anche qui però la fortuna manca, data la decisione di dare la carica a un cittadino europeo, di fatto escludendo ancora una volta Winant. L’ennesima delusione porta John a dimettersi dal ruolo di ambasciatore a Londra dopo ben sei anni e, come ultimo incarico, viene “relegato” al mandato di rappresentante statunitense nel Consiglio Economico Sociale delle NU. La delusione rispetto ai propri ideali e alla propria carriera porta tuttavia anche nel 1947 alle sue dimissioni. Ora John ritorna finalmente a casa.


Deluso, alcolizzato e fortemente indebitato, decide di cominciare a scrivere le sue memorie, Letter from Grosvenor Square, accordandosi già con l’editore nel pubblicare un insieme di volumi. Il 3 novembre 1947 esce il libro I, ma è il primo e unico che abbiamo. Lo stesso giorno, dopo cena, prende una black belgian automatica e si spara alla tempia destra. La sua sfortuna lo segue anche adesso, perché, benché il colpo sia letale, ci vuole mezz’ora per far sì che sopraggiunga la morte. Tra i vari motivi per tale dipartita, forse il più poetico e romanzato per me è quello che Allan Nevins -suo fidato collaboratore a Londra- chiede nella prefazione della biografia a un ormai defunto Winant:


“come Amleto, ti eri accorto che i tempi erano irrimediabilmente fuori posto e che, come uno dei migliori idealisti e uno degli uomini più umani della tua epoca, ti trovavi a lavorare in un ambiente che non poteva offrirvi altro che frustrazioni irrimediabilmente crudeli?”.


Forse è il destino di ogni uomo che crede in un mondo più alto di quello che abbiamo, perché l'utopia ispira la vita, ma l'inevitabile mancato raggiungimento di essa fa soffrire da morire.





 

Autore: Alessandro Mastrosanti




 
 
 

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