Viaggio tra le parole del Mediterraneo
- Accorciamo le distanze
- 26 ott 2022
- Tempo di lettura: 9 min

Nicoulau! A cridat papà. Mi vas faire lou plesì d'estre ben alevat, e de plus dire de bestialità! Autremen, mountes en la chambra sensa ti soupà! As capit?
Ben segur, quorura sieu arribat a maioun, aurii vourgat fa veire ai coulega couma eri brounzat.
On omm el gh'ha domà duu brasc.
Chi sa limà pian e tornì tond, po' girà tut el mond.
I sciavattin gh'han sempre i scarp rott.
Es perquè et se germana que puc dir-te estrangera.
Allons, mon pauvre coeur, allons, mon vieux complice.
No res es tot: floreixen les glicines
livides per l'esforc
de resignificar una altra primavera
i dur memoria d'un dol antic.
Sezziu in bigias a s'umbra 'e cudda figu.
Domù de idda mia, mischinà, domu.
E in coxina, a ingiriu 'e sa mesa
non cumpari sinalli 'i allegria.
In che lingua stiamo leggendo? Siamo sicuri che sia solo una o sono di più? Per poter rispondere a queste domande dobbiamo tornare indietro di qualche secolo.
Fino a circa il XII secolo, l'Europa è stata caratterizzata dal predominio del latino in varie forme e funzioni. Era il linguaggio della chiesa, così come la lingua su cui i letterati si confrontavano nei loro studi.
Tra il XII e il XIV secolo le prime crociate, l'espansione mercantile e la costruzione di varie sedi universitarie (a Bologna, Parigi e Oxford) portarono da una parte a una democratizzazione dell'insegnamento della lingua scritta per i nuovi clerici e letterati, dall'altra a una graduale laicizzazione della cultura e a un progressivo contrasto tra il latino e lingue cosiddette "volgari". Quest'ultime erano impiegate in forma orale nella vita quotidiana, diversamente dal latino che nella sua rigidità grammaticale e strutturale veniva utilizzato dagli eruditi. Ciò condusse, come in Italia, alla scoperta e al conseguente studio di opere scritte in volgare. Si pensi ad esempio alle opere di Dante, Boccaccio, Petrarca. Questa nuova spinta fu accolta non senza critiche tra i letterati. Per citarne uno, Erasmo da Rotterdam si rifiutava, anche nelle lettere private, di scrivere in volgare germanico.
È in tale contesto che vediamo nascere diverse realtà linguistiche in varie parti d'Europa, che si colorano in modo diverso a seconda della zona geografica, della storia di quel paese, delle influenze della vita sociale in determinate aree e del carattere della popolazione. Un contributo altrettanto importante lo si deve all’aumento degli scambi commerciali che hanno avvicinato culture che prima non si erano mai incontrate.
Le lingue che più di tutte rimangono aderenti o che più si avvicinano nella loro forma embrionale al latino sono sicuramente le lingue romanze, ovvero: l'italiano, il francese, lo spagnolo, il catalano, il portoghese e il romeno. A queste macrocategorie linguistiche ovviamente bisogna aggiungere anche lingue e dialetti che ancora oggi esistono e vengono parlate o sono comunque presenti, in varie forme, nella quotidianità dei luoghi in cui sono nate. Tra queste possiamo citare: il corso in Corsica, il sardo in Sardegna e il nizzardo nella zona di Nizza. È noto ad esempio come il sardo non sia considerato un dialetto ma bensì una lingua. Il nizzardo invece non viene parlato dalla popolazione di Nizza ma in città i nomi delle strade, le effigi o le iscrizioni ai piedi di una statua possono essere scritte in Nizzardo.
È inevitabile quindi che, passando dall'Italia e percorrendo le coste del Mediterraneo, alcuni termini possono avere similitudini o possono incontrarsi in certe porzioni del vocabolo. Ovviamente tutto questo non senza sorprese. Alcune parole che sono più o meno simili in molte delle lingue mediterranee possono presentare tra il mucchio un intruso, una traduzione completamente diversa. Il motivo di questa diversità può essere dovuto a tanti aspetti, spesso curiosi e magari dovuti all'interazione storica tra due popolazioni, oppure, come vedremo, la peculiarità di una parola può essere dovuta al fatto che, in quella specifica zona, le persone prediligono un suono piuttosto che un altro.
Non bisogna dimenticare di trattare anche le lingue o le forme linguistiche dell'altra sponda del Mediterraneo. L'arabo nelle sue varie declinazioni ha portato a una colorita contaminazione di alcune delle molte lingue romanze; sicuramente lo spagnolo ne è l'esempio più lampante, ma anche l'italiano e il francese presentano dei casi notevoli.
Per citarne alcuni, la parola cifre in francese corrisponde a cifra in italiano, entrambi termini derivanti dall'arabo sifr. Analogamente douane in francese, dogana in italiano, viene dall'arabo diwan, che significa registro. La parola girafe in francese, giraffa in italiano, risale all'arabo zarafa.
Ecco alcuni esempi per chiarire meglio le somiglianza linguistiche viaggiando nel nostro Mediterraneo.

È curioso notare come la parola sogno risulti essere molto simile in diverse lingue del Mediterraneo ma il francese è un intruso: rêve.
Se il termine sogno deriva dal latino somnium (sogno), rêve sembra invece avere un'altra storia. Nell’antica ortografia francese erano presenti i termini resver (delirare) e rêver (sbavare, passeggiare), che potrebbero ricordare un po’ quello che succede in astratto durante un sogno. L’origine di queste parole è a sua volta dibattuta: sembrano risalire dalle latine exvagus e vagus (vagabondo), da cui deriva vague e divaguer in francese.
Tirando le somme, il termine rêve deriva sì dal latino, ma ha avuto un percorso molto più complicato delle altre lingue del Mediterraneo.

La parola cavatappi ci fa capire come talvolta, un po’ in tutte le lingue, abbiamo radici terminologiche comuni (es. tap, tappo), con la conseguente comprensione di vocaboli stranieri. Nel nostro caso il francese tire e il catalano lleva ricordano rispettivamente i verbi tirare e levare. È interessante anche notare come nel termine in corso sembra esserci un legame con l'italiano e quello sardo con il francese. Questo può essere ovviamente dovuto alla vicinanza geografica ma anche all'intenso scambio commerciale che c'è stato nella storia tra le due isole e l'Europa continentale.
La somiglianza tra il francese e il dialetto milanese è lampante. Ciò ci ricorda come l’interazione tra il nord Italia e la Francia nella storia abbia lasciato qualche segno della vicinanza. Non è difficile immaginare che un francese nell’800 abbia fatto tappa a Milano e, non sapendo come dirlo in italiano, abbia chiesto all’oste un cavatappi dicendo tire-bouchon e che quest'ultimo abbia cominciato da quel momento in poi a diffondere l’utilizzo di questa parola a Milano; nel tempo essa sarebbe stata solo leggermente modificata con cava-busciun.

La parola chiuso sembra avere una forma molto variegata nella modalità con cui si è consolidata nelle varie lingue. Sicuramente tancat risulta essere la parola che più si allontana dalle altre; essa deriva dal verbo tancar, che significa appunto chiudere, impedire il passaggio. Tancar deriva dal latino tancāre, probabilmente a sua volta risalente alla parola celta *tankō. Il percorso sembra essere complesso e, chissà, forse ancora più di quello che sappiamo. Capiamo quindi come in alcuni casi le influenze possano arrivare anche da luoghi lontani dal Mediterraneo.

Di questo termine è curioso notare come la parola net compaia in molte di queste lingue, incluso il dialetto milanese. I vocaboli limpio in spagnolo e limpo in portoghese derivano dalla parola latina limpidus, mentre pulito e pulita, rispettivamente italiano e corso, da un altro termine latino, polire (levigare, pulire).

Tutte le parole cominciano con la lettera F, tranne lo spagnolo. Ciò è dovuto a una questione storico-linguistica: hoja deriva in realtà dal latino folium ma, come accade ad altre parole spagnole, la F decade. Per citare alcuni esempi: hacer (fare) viene dal verbo latino facere; hambre (fame) è un'evoluzione del fambre in spagnolo arcaico, che a sua volta deriva dal latino fames; il latino ferrum (ferro) perde la F e diventa hierro, così come farina diviene harina. La perdita della lettera F sembra essere dovuta al fatto che storicamente la popolazione spagnola faceva fatica a pronunciarla. Se ipoteticamente si aggiungesse dunque una F alla parola hoja, avremmo quindi un vocabolo (fhoja) simile agli altri, in particolare al folha portoghese, lingua che non a caso è geograficamente molto vicina a quella spagnola.

La parola specchio nelle varie forme linguistiche (es. francese, catalana e nizzarda) sembra rimandare al latino mirari, a sua volta derivante da mirus. Questo termine dà origine a tutta una serie di parole in diverse lingue, come nel caso dello spagnolo (maravilla, meraviglia; milagro, miracolo), ma il vocabolo specchio di per sé diverge da tale schema. Espejo deriva dal latino speculum ma, come nel precedente caso nella F ha una evoluzione dovuta alle preferenze linguistiche della popolazione. In questo caso viene aggiunta una E davanti alla S. Lo stesso vale per altre parole come escuela (dal latino schola) ed estadio (da stadium).

In francese il termine oreiller sembra derivare dal latino auriculāris, che ci rimanda quindi al fatto che quando dormiamo appoggiamo le orecchie al cuscino. In tutti i casi in cui il vocabolo comincia con la C, l’origine sembra essere invece legata al termine latino medievale coxinum, a sua volta derivato di coxa (coscia, originariamente cuscino per sedersi).
La parola almohada fu introdotta in spagnolo castigliano durante il periodo in cui gli arabi si trovavano nella penisola iberica. Il suo nome deriva dal termine arabo-andaluso مخدة (mujadda). Aggiungendo il prefisso al-, si ottiene المخدة (al-mujadda), che deriva dall’arabo standard mijadda (cuscino).
Tornando ora alla domanda iniziale, in che linguaggio stiamo leggendo le frasi sopra citate? Siamo sicuri che stiamo leggendo una sola lingua? Forse ora è più chiaro che ovviamente non è così: le frasi sono tratte da brani e poesie in diverse lingue. Leggendo il testo potrete notare quante parole vi risulteranno sicuramente familiari quantomeno nel suono; sarete più incerti su altre, ma rileggendole ancora, forse, vi porteranno almeno a intuirne il significato o a divertirvi nel capirlo.
Se però fate fatica, ecco allora la traduzione e qualche altra curiosità su alcune delle parole.
Nicoulau! A cridat papà. Mi vas faire lou plesì d'estre ben alevat, e de plus dire de bestialità! Autremen, mountes en la chambra sensa ti soupà! As capit?
Nicola! gridò il papà. Mi puoi fare il favore di comportarti bene, e di non dire più stupidaggini! Altrimenti, vai in camera tua senza cenare! Hai capito?
Questa frase è in nizzardo. Il termine soupà significa cena ed è un termine che anche in catalano esiste, per giunta con lo stesso significato.
On omm el gh'ha domà duu brasc.
Un uomo ha solo due braccia.
Chi sa limà pian e tornì tond, po' girà tut el mond.
Chi sa limare un piano e tornire un tondo, può girare il mondo.
I sciavattin gh'han sempre i scarp rott.
I ciabattini hanno sempre le scarpe rotte.
Questi detti sono in dialetto milanese che, come abbiamo già anticipato, è stato contaminato sicuramente dal francese dei nostri vicini d'oltralpe.
Es perquè et se germana que puc dir-te estrangera.
Dato che sei mia sorella posso chiamarti straniera.
Si tratta di una frase in catalano. Il termine germana è molto vicino allo spagnolo hermana; analogamente puc incuriosisce perchè non è tanto lontano dal nostro posso.
No res es tot: floreixen les glicines livides per l'esforcde resignificar una altra primavera i dur memoria d'un dol antic.
Niente è tutto: fioriscono i glicini, lividi per lo sforzo di dare un nuovo significato a un’altra primavera e contenere memoria di un antico dolore.
È un verso di una poesia in catalano. Il termine res, che in latino vuole dire cosa, qui significa niente: è un fenomeno linguistico che accomuna anche il francese (rien: niente) e il nizzardo (ren: niente).
Sezziu in bigias a s'umbra 'e cudda figu.
Seduti in vigna all'ombra del fico.
Questa frase è in sardo. La parola ombra si avvicina sia all’italiano ma anche allo spagnolo (sombra) e al francese (ombre).
Domù de idda mia, mischinà, domu.
Case del mio paese, povere, case.
Si tratta di sardo anche in questo caso. Mischinà vuol dire povere; il termine rimanda all’arabo miskin e prima ancora a muskenum (lingua accadica), che significa povero, indigente. Altre lingue hanno preso in prestito il vocabolo arabo: in spagnolo esiste la parola mezquino, in francese mesquin. Anche in italiano abbiamo la parola meschino, il cui significato letterale è: infelice, sventurato, di persona che si trova in misero stato. “Povero e meschino fu d’Atene cacciato”: scriveva Boccaccio. Il termine poi ha avuto un'evoluzione e nel suo significato figurato oggi si riferisce a una persona senza una nobiltà d’animo.
E in coxina, a ingiriu 'e sa mesa non cumpari sinalli 'i allegria.
Ed in cucina, intorno alla tavola non compare segnale di d'allegria.
Ancora una volta è una frase in sardo. Possiamo vedere parole spagnole (mesa: tavolo), italiane (allegria) e quelle tipiche sarde che terminano con la U. Il vocabolo mesa deriva dal latino mensa, che significa tavola, tavolato. Da qui è facile collegare come anche il termine mensola in italiano giunga dalla stessa terminologia latina.
L'evoluzione delle lingue risulta quindi l'esito dello sviluppo di una colorita serie di ragioni, che fanno capire come l'interazione giornaliera in un determinato periodo storico porti inevitabilmente a conseguenze linguistiche. I cambiamenti possono essere rapidi o invece difficili da accettare per una popolazione, e quindi molto più lenti. Alcuni studi hanno messo in evidenza come le parole più comunemente utilizzate sono proprio quelle che più facilmente hanno predisposizione al cambiamento ed evoluzione rapida. Esiti opposti invece per le parole più legate all'ambito tecnico, giuridico o che rimangono solo nei manuali o nei documenti tecnici.
Al giorno d'oggi le lingue, siano esse d'Europa, Africa, Asia o d'America, sono esposte a contaminazioni sicuramente non paragonabili a quelle dei secoli scorsi. L'inglese in primis è presente oramai con vari termini che vengono riconosciuti anche dai dizionari italiani. Allo stesso tempo l'attuale velocità di comunicazione e le ormai diffuse e molteplici modalità di interazione in rete avranno sicuramente un'influenza nei decenni futuri su alcune parole che oggi utilizziamo quotidianamente. È un fenomeno in continuo divenire.
Sapere l’origine di una parola ci permette dunque non solo di capirne l’evoluzione linguistica, ma ci fa viaggiare e ci ricorda la storia e come tale sviluppo non sia una modifica a tavolino decisa da fumosi letterati del passato: è dovuto al suo utilizzo nel quotidiano.
Nei prossimi viaggi che farete allora, portatevi un taccuino, segnatevi le parole che vi hanno incuriosito e cercate di capirne l’origine! Vi permetterà magari di capire quel termine che avete letto in quel museo che avete visitato oppure di capire come mai quell’insegna di quel negozio aveva quella parola, perché, citando una frase di Sigmund Freud:
“Originariamente le parole erano magie e, ancor oggi, la parola ha conservato molto del suo antico potere magico.”
BIBLIOGRAFIA:
Dizionario Etimologico della lingua italiana – L’etimologico Minore – Manlio Cortelllazzo e Paolo Zolli - Zanichelli
Lingue d’Europa – Elementi di storia e tipologia linguistica – Emanuele Banfi, Nicola Grandi
Amb fils d’oblit / Con hilos de olvido – Maria-Mercè Marçal
Il dialetto ieri e oggi – Corriere della Sera
Passus – Tutte le poesie – Benvenuto Lobina
Lou Pichin Nicoulau en nissart – Sempé Goscinny
Quantifying the evolutionary dynamics of language - Nature. 2007 Oct 11; 449(7163): 713–716. doi: 10.1038/nature06137
Autore: Luca Paroni
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