Volontari in prima linea contro il COVID
- Accorciamo le distanze

- 13 gen 2021
- Tempo di lettura: 4 min

Due chiacchiere socialmente distanziate con un soccorritore
In questo ultimo periodo, grazie al ben noto virus che in un solo anno ha radicalmente cambiato le nostre abitudini di vita, alcune figure pubbliche presenti da molto tempo hanno acquisito maggiore rilevanza: sto parlando ovviamente di medici, infermieri e soccorritori.
Ho pensato quindi di intervistare un volontario soccorritore e questa settimana mi sono infiltrata nella sede della Croce dell’Adda per fare a Marco qualche domanda sul suo ruolo in questo periodo decisivo della nostra storia. La Croce dell’Adda, situata a Cassano d’Adda, è una delle tantissime associazioni presenti sul territorio italiano, che si occupa di svariati servizi: dal trasporto di campioni di sangue tra i vari laboratori della zona, all’accompagnamento di persone non autosufficienti a centri specializzati o a visite mediche, a molti altri servizi, compresi appunto interventi di soccorso. Marco vi presta servizio come soccorritore e autista volontario da 11 anni.
Ciao Marco, grazie per esserti reso disponibile a rispondere a qualche mia domanda. Innanzitutto, ci puoi raccontare quando hai iniziato e come mai hai scelto proprio questo tipo di volontariato?
Ho iniziato nel 2009, la mia famiglia già faceva parte dell’associazione. Mia sorella è stata la prima, seguita poi da mia madre, mio padre, e io appena compiuti 18 anni.
Qual è la cosa che hai trovato più difficile all’inizio?
Credo sia stata la comunicazione con il paziente. Non sono mai stato una persona che parla più di tanto e questo si rifletteva anche sul servizio, sia sul posto che nel trasporto all’ospedale. Con il passare del tempo mi sono reso però conto che dialogare con il paziente, stabilire un contatto, lo aiuta ad essere meno spaventato e lo rende più propenso a seguire quello che gli dici.
Quindi, alla luce di quello che mi hai appena detto, avverti che questo tipo di volontariato ti ha cambiato in qualche modo?
In parte sì, mi ha reso più aperto e spontaneo.
E per quanto riguarda altri aspetti della vita?
Di sicuro mi ha portato sicurezza: avere la possibilità tangibile di aiutare qualcuno nel momento del bisogno ti dà davvero tanta sicurezza, ti fa capire che hai fatto qualcosa di buono, mi capita anche ogni tanto di rivedere in giro la persona soccorsa e mi porta proprio a pensare “ho dato anch'io il mio contributo, quello che faccio non è sprecato”. Sapere di aver dato il tuo massimo nella situazione ti dà molta soddisfazione e soprattutto ti spinge a voler sempre migliorare, ad esaminare le tue azioni a servizio finito e imparare a superare i tuoi limiti.
Ora la domanda che fanno sempre tutti: cosa avverti quando suona il centralino?
Per quanto mi riguarda, la mia reazione è cambiata nel corso degli anni. I primi tempi appena suonava il centralino avvertivo ansia, non mi sentivo pronto, sensazione avvalorata anche dal fatto che le informazioni fornite sul servizio che vai ad affrontare sono spesso limitate, per cui si aggiunge la paura del non sapere cosa si trova una volta arrivati sul posto. Proseguendo ho compreso che tutta questa ansia non mi serve, che non potrò mai essere totalmente preparato all’evento perché gli scenari che possono presentarmisi davanti sono infiniti e quindi non ha senso preoccuparsi in anticipo. Ora quando suona mi sento più tranquillo, preparo una scaletta mentale di quello che devo fare e l’analisi vera e propria la attuo sul posto, senza farmi prendere dall’ansia prima. La tranquillità ti aiuta anche a valutare meglio la scena e a migliorare la qualità del servizio.
Ti capita comunque mai di trovarti in una situazione in cui non ti senti adatto?
No, quello no. Sono comunque preparato nel mio piccolo, sono conscio di non avere una preparazione che copre qualsiasi scenario, non siamo medici o infermieri, ma sappiamo quello che dobbiamo fare e lo facciamo.
C’è mai stato un evento che ti ha portato a pensare di mollare? E cosa ti ha fatto desistere?
Ci sono state più occasioni in realtà, spesso dopo servizi che non si sono conclusi bene, in cui le sicurezze che ti sei sempre portato avanti crollano: inizi a pensare di non farcela più e ti viene paura, perdi la fiducia in te stesso. In questi casi aiuta molto la squadra: sul servizio non sei mai da solo, le situazioni si affrontano insieme e il confronto con gli altri colleghi dell’associazione ti aiuta molto a superare certi sentimenti, a capire che un solo errore non cancella gli anni di azioni positive alle spalle.
Qual è la cosa più comune che ti viene detta quando dici che sei soccorritore?
La prima di sicuro è “ma non ti pagano?”: quella è classica. In questo ultimo periodo è stata però sostituita con un generale “wow” di ammirazione, seguito da “non hai paura?”.
Hai anticipato la mia prossima, e ultima, domanda. Hai paura in questo periodo? E come la superi?
Sì, per il virus molto. È qualcosa che non conosci, che non vedi, che può fare male alle persone a cui vuoi bene. È infatti questa la mia paura più grande: non tanto di ammalarmi, ma di mettere a rischio le persone a cui tengo per una mia mancanza sul servizio. Questo però non mi ha assolutamente fermato, anzi ho deciso di utilizzarla a mio vantaggio, spingendo la mia squadra a seguire scrupolosamente i protocolli di sanificazione e vestizione. In parte quindi questa mia paura la trovo positiva perché porta a migliorarmi ancora di più e a diminuire il rischio di contagio.
Ti ringrazio ancora molto Marco per la tua disponibilità a questa chiacchierata. Ti lascio al tuo turno, buona serata.
Figurati, quando posso aiutare. Grazie a te, buona serata.
Autore: Vera Verri


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